Great directors - Venezia 66 - Fuori concorso

Opera prima, documentario di interviste a piccoli, grandi e grandissimi registi, questo Great Directors della biondissima regista di origine greca Angela Ismalios. Cosa hanno in comune Bernardo Bertolucci (grandissimo), Todd Haynes (grande) e Richard Linklater (piccolo) se non essere nella lista dei preferiti della regista? Cosa accomuna un cortile parigino con un giardino inglese?
Il documentario è aperto in primissima istanza da un David Lynch lapidario nel ricordare quanto “Eraserhead” sia stato il suo film più spirituale senza che nessuno se ne sia mai accorto. Todd Haynes (Io non sono qui) ci ricorda delle rare immagini di un Fassbinder poco prima della morte intervistato da Wim Wenders nel suo Chambre 666, docu-film di interviste a registi del calibro di Antonioni, Godard, Spielberg, cui la regista Ismalios evidentemente si ispira. Documentari sui generis, pensati e preparati senza poter prevedere il materiale utilizzabile, ma che al montaggio assumono una compattezza spesso difficile da ottenere, ma che in questo caso “veneziano” trova più di un filo rosso, a volte troppi. “Ogni esperienza genera idee”, sentenzia un Lynch con perenne sigaretta tra le dita, mentre scorrono le immagini oniriche di Inland Empire, o mentre ricorda il flop di Dune, la mancanza di un final cut che potesse permettere il controllo sul materiale girato. Colpisce lo sguardo fisso, fiero di Catherine Breillat, nel raccontare di un esordio letterario a 17 anni vietato ai minori di 18 anni (“situazione assurda: io stessa non potevo comprare il mio libro!!”) o della censura di Tapage Nocturne (1979), mostrato al pubblico francese vent’anni dopo per i suoi contenuti ritenuti morbosi e pericolosi.
Lapidario, meraviglioso Lynch nel ricordare che “Il film è la voce. Il film è il punto”: sta tutto li, senza orpelli, senza divagazioni. Il film parla da sé e per chi lo crea, nelle parole della Breillat un film è il regalo di una verità svelata al pubblico, non una realtà copiata e ricreata. Ma irrompe Bertolucci e il Film Politico, per cui ogni scelta è politica. Liliana Cavani si rivela leonessa bolognese nel rimarcare che dopo aver lavorato allo sconvolgente materiale documentario sui lager nazisti operò una rivoluzione di linguaggio raccontando del Cattivo nazista Bogarde protagonista del suo Portiere di notte, una riflessione sul Male vista dal Male.
Tribolazioni, vena creativa, ispirazione e un filo rosso generale che sottolinea quanto il milieu storico-culturale influenzi le scelte artistiche dei registi interpellati e degli artisti tutti. Così da una parte Stephen Frears influenzato dai disastri politico-sociali di Margareth Thatcher e il cinema “socialmente utile” di Ken Loach, quindi le origini proletarie di un Linklater o quelle borghesi di un Bertolucci alle prime armi assistente per l’accattone pasoliniano. L’oraemezza di interviste chiudono il sipario con le note del Concerto in Do minore di Beethoven ad accompagnare questi “compagni di avventura” che rivelano alcuni preziosi, insoliti tratti del trucco di rilevare verità, a ventiquattro fotogrammi al secondo.
(Great directors); Regia: Angela Ismailos; fotografia: John Pirozzi; montaggio: Christina Burchard; con interviste a: Bernardo Bertolucci, Catherine Breillat, Liliana Cavani, Stephen Frears, Todd Haynes, Richard Linklater, Ken Loach, David Lynch, John Sayles, Agnes Varda; Origine: Usa, 2009; Durata: 90’
