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Harry Potter e la camera dei segreti

Pubblicato il 20 dicembre 2002 da Alessandro Izzi


Harry Potter e la camera dei segreti

Harry Potter e la camera dei segreti costituisce, nel panorama tutto particolare costituito dai romanzi dedicati alla figura dell’ormai mitico maghetto, l’episodio più decisamente atipico. Nato, evidentemente, sull’onda lunga del successo inaspettato del primo romanzo (ben prima, quindi, che l’idea di un ciclo di sette opere diventasse realmente pensabile) questo secondo capitolo è, essenzialmente niente altro che una fotocopia più scura e maggiormente contrastata del suo illustre predecessore. Di quest’ultimo la Rowling riprende abbondantemente tanto la struttura narrativa (che resta quella di un piccolo giallo innestato in una trama fantasy) quanto l’inesorabile progressione che, da tanti piccoli dettagli raccolti nel corso dell’episodio, conduce direttamente verso il finale duello tra Potter e il suo nemico di sempre. La differenza di fondo tra i due romanzi è, quindi, essenzialmente nel tono con cui il racconto viene restituito al lettore che si fa, nel secondo, più fosco e tormentato anche in vista del fatto che cominciano ad affacciarsi, in corso d’opera, temi decisamente più maturi e problematici. Dopo lo stupore estatico di Harry Potter e la pietra filosofale, che (nel film, più ancora che nel romanzo) portava direttamente ad un tono monocorde presto indigeribile, comincia farsi strada, infatti, una maggiore esigenza di comprensione di se stessi e del mondo circostante. Se, nel primo episodio, la storia si consumava tutta all’interno del mondo e dello sguardo dei ragazzi e anche le figure dei professori adulti (con la sola eccezione il saturnino venditore di bacchette magiche Olivander magistralmente interpretato da John Hurt) finivano assorbite all’interno del fanciullesco post-spielbeghiano più deteriore, qui, in questo secondo capitolo il mondo degli adulti comincia ad assumere un maggiore peso drammaturgico. Il piccolo Harry entra quindi a contatto in maniera più diretta proprio con questo mondo e comincia, per questo, a saggiarne, non senza una punta di angoscia, le contraddizioni e la sostanziale ambiguità. Più che l’incontro con il Professor Lockart (un Kenneth Branagh al di sotto delle sue capacità), allora, sono i contatti con il padre di Draco Malfoy e con quello di Ron Weasley (il polo negativo e quello positivo del mondo stregonesco) a costituire il punto di partenza per un sostanziale ripensamento della propria posizione del mondo. Un ripensamento che diviene necessario nel momento in cui lo stesso Harry comincia a perdere fiducia in se stesso e a scoprire la persistenza di un sostanziale lato oscuro ed inquietante anche nel chiuso della sua stessa anima (fondamentale l’incontro con il cappello parlante che gli ricorda come sarebbe stato preferibile per lui entrare nella Casa del Serpeverde). Elementi del primo episodio si ammantano, così, di un’aura sinistramente presaga e anche la capacità di Harry di parlare con i serpenti (che nel primo film era indizio del suo “temperamento magico” ancora inconsapevole) diventa qui sinistramente spaventosa. Il tono è, quindi, generalmente incline all’horror e quello che avrebbe dovuto essere un semplice doppio del primo romanzo si complica incredibilmente in fase di scrittura. Nel passaggio dal romanzo al film Chris Columbus mette tutta la sua incredibile incapacità registica al servizio di una piatta illustrazione di un materiale narrativo mosso, ma sostanzialmente inerte da un punto di vista letterario. I romanzi della Rowling, in effetti, non denotano altro che una straordinaria abilità all’interno di un discorso che si vuole sostanzialmente manierista che diventa tristemente manierato quando viene riversato su Grande Schermo. Triste destino questo di un film in cui i vari addendi sono decisamente superiori al risultato finale. Ottime sono le musiche di John Williams (sempre memori del miglior Cajkowsky), notevole la fotografia con il suo tono decisamente dark, funzionali gli interpreti (decisamente migliorati i ragazzi rispetto al primo episodio, ma odioso l’elfetto domestico digitale), accurati gli effetti speciali. Alcune scene potrebbero strappare l’applauso (la carica dei ragni), ma, sarà per l’eccessivo ingolfarsi di eventi messo in campo in sede di sceneggiatura, sarà per la troppa fedeltà al testo scritto, sarà per il fatto che Columbus tutto è fuorché un talento visionario, il risultato finisce, alla fine, per apparire quantomeno superfluo ed inutile. Ci si trova alla fine di fronte ad un prodotto ambiguo, decisamente inferiore alla gadgettistica che gli sorge intorno (il CD con le musiche, i giochi, nonché lo stesso romanzo rilanciato nelle librerie) e tristemente risaputo. Certo è che, comunque, rispetto ad Harry Potter e la pietra filosofale qualche passo avanti c’è almeno stato.

(Harry Potter and tha chambre of secrets); Regia: Chris Columbus; Sceneggiatura: Steven Kloves; Fotografia: Roger Pratt; Montaggio: Peter Honess; Musica: John Williams; Interpreti: Daniel Radcliffe, Emma Watson, Rupert Grint, Richard Harris, Maggie Smith, Kenneth Branagh, Alan Rickman, Sean Biggerstaff; Produzione: HEYDAY FILMS / 1492 PICTURES; Origine: Stati Uniti, Inghilterra, 2002

[dicembre 2002]

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