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Herzog incontra Gorbaciov

Pubblicato il 24 gennaio 2020 da Matteo Galli
VOTO:


Herzog incontra Gorbaciov

Su IMDB sono accreditati ben 90 film documentari in cui Michail Gorbaciov figura come testimone, protagonista o co-protagonista. Uno solo in cui figura come “actor”, ed è Così lontano, così vicino di Wim Wenders del 1993. Adesso a Gorbaciov un altro grande regista del Nuovo Cinema Tedesco, ha dedicato un intero documentario, Meeting Gorbachev, appunto, che in italiano non del tutto a torto è stato tradotto Herzog incontra Gorbaciov. Su IMDB sono accreditati ben 73 film di Werner Herzog, due ulteriori risultano in post-produzione. Dei registi appartenenti alla, di fatto, prima generazione del Nuovo Cinema Tedesco (il suo primo cortometraggio, girato a 20 anni, reca la data 1962, l’anno del coming out, del Manifesto di Oberhausen) Herzog è certamente il più prolifico, il più vario. Certo, non tutto quel che ha fatto, dopo la stagione d’oro del NCT (diciamo nel quindicennio che va da Segni di vita a Fitzcarraldo) è memorabile, ma la capacità di rimettersi in discussione, di accettare nuove sfide appare senz’altro encomiabile.

La produzione di Herzog è equamente suddivisa fra film di finzione e film documentari, negli ultimi vent’anni quest’ultima ha senz’altro preso il sopravvento, dando vita a un non episodico numero di film assai significativi, dal più celebre di tutti, girato in 3D, Cave of forgotten dreams del 2010 passando per la serie di documentari televisivi girati nel braccio della morte delle carceri americane intitolata On death row del 2013 fino al documentario dedicato all’impatto di internet sulla vita degli individui, intitolato Lo and Behold, Reveries of the connected world del 2016.

Meeting Gorbachev che Herzog ha girato nel 2018 con la collaborazione del produttore André Singer, arriva adesso per pochi giorni nelle sale italiane. Dei 90 film citati all’inizio questo è forse il più sistematico e il più “di autore” dedicato all’ex-premier sovietico. Si tratta, sul piano formale, di un documentario piuttosto tradizionale, anche se la massiccia presenza del regista stesso, sia nei numerosi campi e controcampi sia come voce nell’amplissimo commento audio, pronunciato con l’inconfondibile voce rauca del regista bavarese, in un inglese che tradisce con tutta evidenza le sue origini, non può non indurre a una riflessione, anche sulla valenza autobiografica del film: intervistando Gorbaciov, Herzog finisce di fatto per parlare molto di sé, della sua biografia di uomo e di intellettuale tedesco, fin dalle prime battute in cui si presenta come tedesco appunto, avanzando poi l’ipotesi che il primissimo rapporto del suo interlocutore con i tedeschi sia stato drammatico perché legato alla guerra. Gorbaciov invece lo smentirà completamente. La comune origine contadina, l’aver trascorso i primi anni della vita in condizioni se non indigenza certamente molto primitive ha fatto scattare con certezza una forma di identificazione nel regista. L’episodio in cui viene raccontato che Gorbaciov, agli inizi della carriera politica, pur di rendersi di conto di persona delle condizioni in cui versavano i contadini, era disposto a raggiungere posti sperduti arrivandoci anche a piedi rappresenta forse il culmine di tale identificazione, data la lunga e inveterata abitudine di Herzog, fin da ragazzo, di percorrere lunghi tratti di cammino senza servirsi di mezzi di locomozione. A questo si aggiunge, ovviamente, l’identificazione e ammirazione scaturita dal ruolo decisivo che Gorbaciov ha svolto non solo e non tanto per il superamento della Guerra Fredda ma, specificamente per il destino della Germania, dando un contributo decisivo, insieme a Kohl, a Genscher, a Shervarnadze, alla Riunificazione Tedesca.

Vi è un ultimo punto che forse merita una qualche attenzione e che si palesa soprattutto nella parte finale del film, laddove appare con tutta chiarezza la valenza tragica della figura di Gorbaciov, pur nell’innegabile serie di risultati raggiunti (disarmo, fine della Guerra Fredda, Riunificazione tedesca): soprattutto in Russia l’ex-premier non gode di buona stampa, i nostalgici gli rimproverano di essere stato la causa prima della dissoluzione dell’Unione Sovietica (intenzione che lui NON aveva affatto, come dice esplicitamente), gli uomini (si fa per dire) nuovi lo considerano un esponente della vecchia guardia e lo hanno di fatto obliterato. Ecco, la tragicità dell’eroe, alla quale contribuiscono, oggettivamente, eventi privati come la morte dell’amata moglie Raissa (il silenzio, la malinconia e la rabbia dell’ex-premier quando Herzog con grande delicatezza arriva a parlare di questo lutto sono la parte più toccante dell’intero film) fanno di Gorbaciov l’ennesimo eroe tragico, in qualche misura idealista e fallito che costellano la filmografia di Herzog.

Ciò detto, è altresì apprezzabile di questo film la scelta, qua e là non priva di sfumature ironiche, del materiale d’archivio: la lunga sequenza dedicata all’ascesa e alla caduta (morte) dei tre predecessori di Gorbaciov, delle cariatidi Breznev, Andropov e Černenko punteggiata dalla marcia funebre di Chopin, esposizione delle salme, passo dell’oca etc, è semplicemente memorabile. E anche tutte le sequenze d’archivio che ritraggono i nostoi di Gorbaciov nella regione natale sono molto toccanti. Meno interessanti, nel complesso, le testimonianze dei pochi sopravvissuti della fase calda della storia europea e mondiale: George Shulz, segretario di Stato ai tempi di Reagan, adesso novantanovenne, Horst Teltschik, politologo, consigliere di Helmut Kohl e, materialmente, l’autore del memorandum in dieci punti di fine novembre 1989, che condusse alla Riunificazione tedesca, e anche Lech Walesa o l’ex politico ungherese Miklós Németh. Nell’insieme, ancora una volta, Herzog ha girato un film importante e originale.


CAST & CREDITS

(Meeting Gorbachev); Regia: Werner Herzog, André Singer; fotografia: Richard Blanshard, Yuri Barak; montaggio: Michael Ellis; produzione: Werner Herzog Filmproduktion; distribuzione: I Wonder Pictures origine: Gran Bretagna, Germania, Usa 2018; durata: 90’


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