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I Can’t get no Satisfaction

Pubblicato il 10 ottobre 2007 da Luigi Coluccio


I Can't get no Satisfaction

Teatro Vascello - Roma. I maestri delle Yeshivoth – le scuole rabbiniche di esegesi biblica e talmudica – nelle loro continue dispute teologiche-etiche-sociali, proponevano spesso al proprio "rivale" questo paradosso: <<Può Dio costruire una trappola da cui poi non potrà uscirne?>>. Per Dostoevskij, e Gaetano Ventriglia e la compagnia Malasemenza, la risposta è no. “I Can’t Get No Satisfaction”, ultimo – per ora – lavoro della trilogia dostoevskijana di Ventriglia e Silvia Garbuggino iniziata con “Nella luce idiota” (2003) e “Prima stanza (studio daI fratelli Karamazov”)” (2005), dà una risposta chiara e terrificante al vecchio quesito rabbinico attraverso la rilettura di “Memorie dal sottosuolo”, romanzo oscuro e spiraliforme del grande autore russo. Considerato da molti come il punto di partenza ancora inconsapevole di quella che poi sarebbe divenuta la psicanalisi freudiana, il libro è una potente porta verso l’inconscio-oceano umano attraverso la parabola (e il termine non è casuale) di un impiegato divorato dalla rabbia, l’invidia, la solitudine, la paura, tanto che questi mondi emozionali diventano le pareti invincibili del Sottosuolo dentro cui sprofonda deliberatamente – e laggiù, nel profondo ma caldo ed accogliente Sottosuolo, nessuna Croce del Nord guiderà il suo cammino, e non avrà nessuna alba o nessun tramonto da rimirare, solo un lento percorso a spirale che sempre di più lo condurrà verso quell’orizzonte immobile che è la fine – o l’inizio? – di tutto...
Materia incandescente, materia intoccabile, le “Memorie” nelle sapienti mani – e bocche, e visi, e occhi – di Ventriglia e di Malasemenza tutta diventano un’opera trasversale, pulsante, aperta a più soluzioni e più letture. Sughi, ombrelli colorati, stoviglie rovesciate, candida e sporca neve, letteralmente fanno apparire in scena il libro stesso, le “Memorie”: l’amore che Ventriglia e Malasemenza nutrono per il testo dostoevkijano è assoluto, senza macchia, ogni sguardo o vibrazione o centimetro degli abiti di scena é una pagina del romanzo: ecco il rituale teatrale messo in scena in questo spettacolo – una lenta e continua invocazione del testo originale, che attraverso flussi e riflussi simbolici-emotivi-cromatici si trasla, si incarna nei muscoli, nei rossi capelli, nella povera pelle degli attori.
Il progetto etico dostoevkijano diventa puro pane quotidiano (altra metafora non casuale) per un lavoro attoriale liberatorio e variegato, guidato da Ventriglia con mano leggerissima: punto focale della rappresentazione sono di volta in volta Marco Sanna – Uomo del Sottosuolo, Re del Sottosuolo, Schiavo del Sottosuolo, in una babele emotiva davvero lancinante, dove arriva perfino a canticchiare l’inno di un’intera generazione di uomini e donne cresciuti a Vietnam, Jack Kerouac e LSD, cioè "I Can’t Get No Satisfaction" –, Francesca Ventriglia – una Lisa unica portatrice di un mondo interiore illuminato e per questo devastata da tutto e tutti –, Claudio Alfaroli e Francesco Cortoni – amici (?) ed essenze graffianti dell’Uomo del Sottosuolo, impegnati in un lavoro ai margini ma indispensabile, perfetto – e, sopratutto, per chi scrive, la splendida Silvia Garbuggino, il servo Apollon, personaggio a cui è dovuta la prima –e unica che sia appassionata, disinteressata, vera – dichiarazione di intenti, tra le tante che si susseguiranno per tutto lo spettacolo. La Garbuggino ondeggia, solca il palco e il Salterio con una corporalità irriducibile, immergendo tutto e tutti in fluido mesmerico che lascia poco o nessuno spazio – e tempo.

Ventriglia asserisce che uno spettacolo va giudicato al di là della propria bellezza o bruttezza intrinseca: va ammirato e/o bistrattato in base alle domande che riesce a porre. E noi una domanda ce la siam posta, all’inizio di questo pezzo: può Dio costruire una trappola da cui poi non potrà più uscirne? La nostra risposta – e quella di Dostoevksij, di Ventriglia, di Malasemenza – è stata, appunto, negativa. L’Uomo del Sottosuolo è onnisciente: vede e brama tutto in modo assoluto. Ma il suo peccato è quello di essere un uomo che si è scambiato di posto con Dio stesso. Il cerchio e il triangolo sono le essenziali forme geometriche entro cui agisce l’Uomo del Sottosuolo – ma ciò avviene in modo invertito: l’Uomo del Sottosuolo si costruisce un regno a forma di cerchio, figura perfetta, assoluta, irriducibile, attribuita e da attribuire solamente alla divinità –qualunque e chiunque essa sia... ; il triangolo invece, la figura geometrica più semplice da costruire, così fredda, penetrante, terribile nella sua asettica costruzione, viene investita – letteralmente – dell’Occhio Divino. Ecco l’ancestrale errore e colpa e misfatto dell’Uomo del Sottosuolo e di noi tutti: rendere vero l’assunto prima Dio creò gli uomini e poi gli uomini crearono Dio...


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