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I FANTASTICI 4

Pubblicato il 16 agosto 2005 da Alessandro Izzi


I FANTASTICI 4

I fumetti traggono la loro linfa vitale direttamente dalle contraddizioni del mondo dell’adolescenza. Sono, in altre parole, delle materializzazioni visive dei complessi, delle difficoltà, delle incertezze con le quali il ragazzo comincia faticosamente ad affacciarsi nel mondo adulto. Per questo motivo il tema di fondo di tutti i fumetti (soprattutto di quelli che pongono al centro della propria narrazione la figura di un super eroe) resta sempre la difficoltà di gestire la propria identità, di capire fino in fondo chi si è davvero. Argomento quasi archetipico del fumetto resta, quindi, il rapporto tra l’Io e il Mondo. Un rapporto sempre difficile, sempre sfuggente e ambiguo dal momento che l’Ego protagonista, che vive sulle proprie spalle le difficoltà reali della convivenza con se stesso e la realtà che lo circonda, è sempre un “io diviso” che cerca disperatamente di mantenere un qualche contatto con il proprio passato fanciullesco fatto di favole e magie (e cosa sono i super poteri se non un desiderio inconfessabile e bambino che ciascun adolescente si porta dietro come retaggio della propria infanzia), ma che al tempo stesso è proiettato verso responsabilità sempre più grandi e sempre più difficili da gestire. I super eroi sono, quindi, questo: degli adolescenti (indipendentemente dalla loro età anagrafica) che perpetuano, nella loro esistenza precaria, il senso di indeterminatezza, di incertezza del proprio stato, che manifestano il desiderio costante di fuggire dalle proprie responsabilità, ma che finiscono per ripiombare sempre in esse. Perché il loro dono è anche la loro condanna e la loro eccezionalità resta sempre sospesa sul desiderio di una normalità invocata (una casa, una famiglia, un lavoro, un’abitudine) e al tempo stesso temuta perché segnerebbe la fine di un’avventura, di un sogno, di un gioco come nel superbo inizio borghese e insoddisfatto di Gli incredibili. Tutti i bambini sognano di poter volare sui grattacieli, tutti gli adulti sanno di non poterlo fare. Quello che c’è in mezzo tra questi due stadi della vita è il mondo dei fumetti. Non è un caso che i migliori film tratti da un fumetto si portino dietro un coteau adolescenziale che pervicacemente si manifesta in ogni momento della messa in immagine della pellicola. Occorre un eterno adolescente come Tim Burton per dare davvero spazio al lato dark di un Barman e più ancora, occorre la sua sincera fascinazione per il “diverso”, il “mostro” (perché ogni adolescente si sente a suo modo diverso e, perché no, anche mostruoso) per dare corpo a figure emblematiche come il Pinguino o Catwoman (prima del pessimo film eponimo). Occorre un regista seriamente interessato al rapporto tra individuo (non importa quanto eccezionale) e società per dare corpo alle contraddizioni tra il super eroe e un mondo che lo teme e lo invoca al tempo stesso. Come Bryan Singer che arricchisce i suoi X-men di uno sfondo politico antifascista molto preciso. Sulla carta anche I fantastici 4 contiene tutti questi elementi tipici della poetica dei fumetti (specialmente Marvel), il problema è che questi elementi rimangono appunto sulla carta, non riescono mai a trovare un’adeguata forma di trasposizione all’interno del film. Il regista Tim Story (nomen omen) si limita a filmare la storia, non riesce in alcun modo ad imprimere alle sue immagini quell’estro visionario che dovrebbe essere obbligatorio per chiunque si trovi a dover riprendere un racconto che aveva già trovato una sua espressione in altre immagini. Di fronte ai complessi e ai problemi di gestione della propria identità da parte dei suoi super eroi, il regista risponde con un umorismo d’accatto, con un’ironia stantia che non affonda mai nella tragedia segreta che è sempre il dover fare i conti con se stessi e con i propri cambiamenti. Anche i turbamenti di The thing, l’unico personaggio che deve fare i conti con un mutamento ingombrante ed evidente, sono più detti a parole che sentiti in immagini. I suoi personaggi sono figure di cartone che si stagliano su uno sfondo inerte e inerme. In questo modo anche il rapporto individuo società si scioglie in quadrucci di maniera, in siparietti per gag comiche (la donna invisibile che si denuda come Superman per sfuggire alla folla festante) che lasciano il tempo che trovano all’interno di un racconto forse un po’ troppo debole per sostenere da solo un intero lungometraggio. Ma il problema maggiore della pellicola sta tutto nella gestione degli spazi che appare fin dalle prime inquadrature (quelle della tempesta stellare) totalmente piatta ed incapace a restituire in profondità qualsiasi senso di avventura. È un immaginario televisivo quello che Story dispiega in questo prodotto appena nobilitato dal budget impiegato. Un immaginario fin troppo rivisto che per questo certamente piacerà alle folle festanti di ragazzini popocornosi che sono per lo più tristemente televisivizzati. Ma quello che resta alla fine è, comunque, la fine stessa del fumetto. Tra le magie del mondo fanciullesco e l’orrorosa routine del mondo adulto a trionfare è, tristemente proprio quest’ultima. E il futuro che sembra aspettarci dietro l’angolo, smaltita la sbornia visiva del film, è quella di un cinema, quello hollywoodiano, in cui il fantastico viene studiato a tavolino da una folla di anonimi impiegati che hanno dimenticato, col tempo, quando sognavano di sgranchirsi le ali tra le vette di un sogno.

(Fantastic four); Regia: Tim Story; sceneggiatura: Michael France, Mark Frost; fotografia: Oliver Wood; montaggio: William Hoy; musica: Miri Ben-Ari, John Ottman; interpreti: Ioan Gruffod, Jessica Alba, Chris Evans, Michael Chiklis, Julian McMahon; produzione: Avi Arad, Michael Barnathan, Chris Columbus, Bernd Eichinger, Ralph Winter; distribuzione: 20th Century Fox

[Agosto 2005]

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