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I mondi e i corpi di David Lynch

Pubblicato il 12 febbraio 2007 da Andrea Esposito


I mondi e i corpi di David Lynch

Lynch è regista contemporaneo, post-contemporaneo e ugualmente fuori dal tempo. Proprio nella misura in cui la sua opera sembra focalizzarsi su aspetti atavici e immutabili della psiche e della condizione umana, essa si rende voce precipua per un racconto del nostro tempo che venga dal nostro tempo; in Lynch (e Inland Empire ne è l’ulteriore parossistica conferma) prendono vita gli interrogativi più urgenti ed intimi della nostra epoca relativi al ‘fare arte’: i film di Lynch concretizzano sullo schermo il dubbio e lo smarrimento, creano non delle storie ma materializzano l’affascinante ipotesi di una narrazione. Riflettono sulla stessa possibilità di ‘dire’ qualcosa nel cinema contemporaneo, e, come già considerava Giona Nazzaro a proposito di Mulholland Drive, sulla verità e sull’ontologia del mezzo cinematografico. Questa posizione peculiare di Lynch nel panorama cinematografico contemporaneo consegue ad un uso personale dei mezzi e della materia audiovisiva e di una concezione unica del testo filmico: esso diventa creazione di uno spazio, prima che racconto di una storia, e se anche è dalla storia che sembrano generarsi lo spazio e i luoghi del cinema lynchiano, il fascino dell’opera sta proprio nella sua capacità di creare un mondo a sé per ogni film. Anzi il film diventa un ‘oggetto filmico’, che coincide con il mondo che è racchiuso in esso: Inland Empire rappresenta così solo l’ultimo di questi marchingegni, il più pericoloso e complicato di questi generatori di ‘strade perdute’, di scatole rosse che plasmano e incastrano tra loro diversi piani narrativi. Il testo lynchiano è questo rompicapo misterioso, e la sua chiave insondabile è contenuta in quella Stanza Rossa le cui diverse manifestazioni affollano il cinema di Lynch: tra queste ovviamente la Stanza Rossa di Twin Peaks, il Club Silencio di Mulholland Drive, o la stanza dell’‘Uomo del Pianeta’ di Eraserhead. La stanza dell’Altrove diventa così spazio filmico per eccellenza, luogo generativo, adibito appunto all’atto stesso di creazione magica del film. Riprendendo Dottorini, oltre alle suddette stanze, questi mondi sono percorsi da strade. Le strutture narrative dei film di Lynch potrebbero anzi essere visti come i tracciati che dipanano la peculiare struttura dell’oggetto filmico (Caccia ad esempio compara la struttura di Strade perdute a quella del ‘nastro di Möbius’). E questi tracciati sono percorsi dai corpi, vero polo attrattivo della poetica dell’immagine lynchiana. In Lynch abbiamo spesso a che fare con personaggi dall’identità vacillante, figure enigmatiche come Bob di Twin Peaks, Mystery Man di Strade perdute, il cow-boy o la donna dai capelli blu di Mulholland Drive, o il fantasma di Inland Empire. Corpi di cui non sappiamo nulla, spesso, se non un nome. Corpi del mistero, perduti come gli altri nel tracciato filmico. Spesso assistiamo a corpi ‘ruotati’: corpi che possiedono un’altra identità (Naomi Watts in Mulholland Drive), o a identità che si ritrovano in corpi diversi (il doppio protagonista di Strade perdute, Bob/Leland di Twin Peaks). Tale duplicità è appunto un sottotesto costante del cinema di Lynch, attraverso cui meglio si esplica la dinamica dei mondi che s’intrecciano, di mondi che nascondono altri mondi (magari dietro il termosifone, come in Eraserhead), e di personaggi che non sono mai quello che sembrano, e passano incessantemente da una realtà all’altra. Da questa continua sfida alla fiducia e alle convenzioni dello spettatore, da quest’avvincente inganno deriva l’impressionante forza del corpo in Lynch. Nel gioco di accavallamenti di piani, Lynch sovrappone e ruota le figure, i nomi, le identità, ma sotto di essi, proprio di fronte alla macchina da presa, resta un corpo reale, o raccontato come tale. Anche nei momenti più prossimi all’allucinazione, quando il mistero viene mostrato in tutta la sua incomprensibilità – quando ci si avvicina alla Stanza Rossa – lo sguardo di Lynch mantiene una qualità materiale. Mettendo in scena il mistero, il corpo diventa anzi l’evidenza, la prova di questo mistero. L’enigma mostrato in sé e per sé, senza svelamenti. Il corpo è l’immagine stessa del mistero. E’ il corpo indefinibile dei quadri di Lynch, fatto di porzioni anatomiche che affiorano dal buio, senza nomi, senza chiarezza. E’ il corpo ibrido di Elephant Man, umano e mostruoso. E’ il corpo della Rossellini carico di morte ed erotismo, in Velluto blu. E’ il corpo totem di Laura Palmer, il cadavere che incarna l’insondabile storia che si avviluppa dietro al suo omicidio. Fantasmi, cadaveri, doppi. Tutti reali perché corpi. E’ questo, più che altro, a dare vita all’assurdo che vediamo sullo schermo, e a rendere ipnotico e seducente il suo sviluppo nel percorso del film.

Bibliografia e letture consigliate:

Dottorini D., David Lynch. Il cinema del sentire, Genova, Le Mani, 2004

Caccia R., David Lynch, Milano, Il Castoro, 2004

Chion M., David Lynch, Torino, Lindau, 2000

Rodley C., Lynch secondo Lynch, Milano, Baldini&Castoldi, 1998


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