X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



I passi dell’amore

Pubblicato il 22 agosto 2002 da Alessandro Izzi
VOTO:


I passi dell'amore

Il cinema americano, che già da tempo ci ha abituati alla contaminazione dei generi, sembra essere sul punto di lanciare definitivamente, e a livello commerciale, un altro modello di narrazione che si potrebbe riassumere brevemente così: paghi un film, ne vedi due. In questo senso I passi dell’amore si prefigura come un illustre antesignano di una pratica che sembra destinata ad un suo effimero successo negli anni a venire, ma che non è, in fondo, niente altro che un’ennesima scoperta dell’acqua calda dal momento che molte pellicole del passato si sono basate su questa strana formula. Pensate, tanto per fare un esempio illustre, ad un capolavoro come Lo squalo di Spielberg che mette in bella fila uno splendido horror, con tanto di mostro dagli abissi, e un film, non meno bello, di caccia (tutto il secondo tempo) che, fino ad un certo punto, non sarebbe dispiaciuto a John Huston. I passi dell’amore, che può contare sulla regia assai claudicante di Adam Shankman e su una sceneggiatura basata su un romanzo dell’imperituro autore di Le parole che non ti ho detto (Nicholas Sparks), non costituisce, quindi, un’eccezione nel panorama della cinematografia mondiale. Ma, mentre il film spielberghianio riesce, quasi miracolosamente, a risolvere, soprattutto a livello stilistico, la contraddizione che c’è tra il primo e il secondo tempo della narrazione attraverso una sintesi geniale di paura ed eccitazione, il film di Shankman, per contro, dà solo la triste impressione di limitarsi a proporre una banale giustapposizione tra due momenti del tutto estranei l’uno all’altro. Le storie raccontate, infatti, pur condividendo protagonisti, ambientazioni e motivi, restano per tutto il corso della proiezione, come divise, incapaci di pervenire ad una sintesi convincente. La prima storia è quella di Jamie Sullivan (ragazza acqua e sapone, con sani principi religiosi e una vita apparentemente priva di emozioni) che diventa amica e punto di riferimento di London Carter (classico bullo dal buon cuore sempre a caccia di avventure). Il loro incontro, dapprima reso problematico dalla diffidenza del ragazzo che pure si sente attratto dall’aria candida della ragazza, conduce, come in ogni buon romanzo di Nicholas Sparks ad una confidenza via via crescente che non può non culminare nell’innamoramento reciproco. Sullo sfondo, appena appena illuminati dalla mano del regista, giacciono delle problematiche di contorno: il disagio giovanile visto come un’assoluta mancanza di valori e di sani principi e il bisogno, da parte dei giovani, di ritrovare un centro di gravità, di riscoprire il significato che può nascondersi dietro parole come famiglia, amicizia e, ovviamente, amore. Il secondo film, quello strappalacrime, comincia con la scoperta della malattia di Jamie, ed è la storia di una coppia di adolescenti (che sembrerebbero non aver nulla a che fare con i protagonisti della storia predente) che si trova, di colpo, messa a confronto con la morte. Anche Lynch si era divertito, in Strade perdute, a cambiare, di punto in bianco, il protagonista del racconto, ma lì, almeno, la cosa era intenzionale e lucidamente perseguita, in questo caso, invece, l’impressione è che il regista non sappia gestire il non certo eccellente materiale narrativo che ha sotto mano. Ne risulta un film squilibrato, anzi due film: il primo abbondantemente prevedibile, discretamente bacchettone e abbastanza noioso con una certa ascendenza paratelevisiva; il secondo, diseguale, ricattatorio e odiosamente melenso, ma, se non altro, meglio girato. Delle tante atrocità compiute per celebrare l’amore, quelle perpetrate da Sparks (perlomeno a livello cinematografico) andrebbero poste sotto processo. Purtroppo per noi, però, la legislazione in merito si rivela alquanto carente.

(A walk to remember); Regia: Adam Shankman; Sceneggiatura: Karen Janszen; Fotografia: Julio Macat; Montaggio: Emma E. Hickox; Musiche: Mervyn Warren; Interpreti: Shane West, Mandy Moore, Peter Coyote, Daryl Hannah; Origine: Usa, 2002; Produzione: Denise Di Novi e Hunt Lowry; Distribuzione: Media Film

[agosto 2002]

Enregistrer au format PDF