X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Ibridi e incubi – Il cinema di David Cronenberg

Pubblicato il 28 maggio 2009 da Arianna Pagliara


Ibridi e incubi – Il cinema di David Cronenberg

Quello di Cronenberg è un cinema che, anche quando sonda quegli spazi che si fanno paurosamente immateriali e virtuali (Videodrome, eXistenZ ), è fatto soprattutto di corpi, di carne, di presenze inequivocabilmente materiche. L’onnipresenza angosciante di una tecnologia che, invasiva e spesso indominabile, aggredisce e plasma in modo irreversibile questi corpi è un’altra costante nell’immaginario del regista canadese. Ma il tratto distintivo di questi cronenberghiani dispositivi tecnologici è di essere sorprendentemente organici, vivi, pulsanti, e questo accresce la loro mostruosità. In Dead Ringers al bianco asettico e rassicurante delle comuni sale operatorie si sostituisce un accecante rosso sangue; in eXistenZ il Pod che i personaggi si inseriscono nella schiena per entrare in una sorta di realtà virtuale è un joystick fatto di carne; in Videodrome il protagonista infila la testa tra due enormi, spaventose labbra che fuoriescono dallo schermo televisivo, per non parlare delle macchine da scrivere che popolano The naked lunch, che possono trasformarsi in orribili insetti sessuati.
Quindi, se il corpo vuole sfidare le leggi della fisica, uscire da se stesso per esistere in una nuova forma, come avviene in molto cinema contemporaneo (a cominciare da quello che esalta le straordinarie prestazioni dei più popolari supereroi) in Cronenberg è vero anche il contrario: la tecnologia vuole farsi materia organica, sensibile, umida, peritura. La carne sogna di essere metallo e il metallo di essere carne. Organico e inorganico divengono due poli opposti e inscindibili, due metà complementari, uno yin e uno yang che faticano a trovare un equilibrio pacifico e continuamente si aggrediscono a vicenda, si compenetrano e si fondono dolorosamente. Tutto questo è all’origine di quell’idea sorprendente di metamorfosi e ibridazione che sta nel cuore buio e profondo del cinema di Cronenberg. Emblematica in questo senso è la vicenda di Brundle ne La mosca: l’insetto, qualcosa di organico, un imprevisto accidentale, si introduce nella cabina per il teletrasporto insieme allo scienziato. Il viaggio attraverso l’immateriale sembra essere riuscito, eppure qualcosa è cambiato irrimediabilmente. Pian piano vengono alla luce i sintomi agghiaccianti di una orribile metamorfosi di kafkiana memoria. Brundle è ormai Brundlefly.
Ma le trasformazioni e le ibridazioni che i personaggi di Cronenberg subiscono non sono mai catartiche o risolutive, soltanto irreversibili. Nulla può tornare come prima. Anche quella del protagonista di A history of violence è, in un certo senso, una metamorfosi che si compie lungo la scia della violenza sotto gli occhi increduli della famiglia di Tom Stall/Joey Cusak. Però tutto è permeato, stavolta, dal problema inquietante dell’identità, che esisteva già in M. Butterfly (l’indecifrabilità di un’identità sessuale oscuramente ambigua e il rapporto misterioso tra i protagonisti) e in Dead Ringers (i gemelli, il doppio, l’Altro, l’io e il non-io).
La suggestiva, potente visione biomeccanica di Cronenberg è insieme sogno e incubo, espressione del desiderio e della paura di questa nostra epoca, che ha col progresso scientifico e tecnologico un rapporto pericolosamente ambivalente, fatto di attrazione e angoscia, fascino e smarrimento, e a tratti di feticismo morboso. Fuori dai confini del cinema di genere i suoi film si fanno specchio limpido di un sentire che, nel bene e nel male, è assolutamente contemporaneo


Enregistrer au format PDF