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Ich bin dein Mensch

Pubblicato il 1 marzo 2021 da Matteo Galli

VOTO:

Ich bin dein Mensch

Uno dei primi film in concorso Ich bin dein Mensch (Sono il tuo uomo, uomo nel senso di essere umano e non di maschio, anche se…) di Maria Schrader sembra fatto apposta per render più acuta la nostalgia della Berlinale in presenza, di Berlino in presenza perché – secondo una tradizione consolidata ormai da anni – a Berlino si svolge. Anzi: per certi aspetti sembra proprio riconnettersi a un film berlinese dell’anno scorso ovvero Undine di Christian Petzold. Anche qui una protagonista femminile che lavora in un museo (Undine lavorava nel Märkisches Museum, Alma lavora al Pergamon), anche qui abbiamo le architetture ultramoderne degli ultimi anni, e anche qui la casa dove vive Alma è a un piano alto dal quale si domina la fitta rete di tram e metropolitane e sopraelevate che attraversa il centro della capitale e i monumenti che si trovano ormai in ogni dépliant turistico: oltre al museo, la torre della televisione, il Berliner Dom e Alexanderplatz. Ma il taglio delle inquadrature, il continuo ricorso alle plongée (la fotografia è affidata a uno dei più bravi direttori della fotografia tedeschi ossia Benedict Neuenfels) accentua l’aspetto irreale o se vogliamo fantasmatico, futuribile delle immagini che ci scorrono dinanzi. D’altronde il film è liberamente tratto dal racconto di una scrittrice tedesca, ossia Emma Braslawsky pubblicato solamente due anni fa in un’antologia intitolata 2029. Geschichten von morgen cioè 2029. Storie di domani, un racconto di fantascienza dunque.

Alma - interpretata da Marion Eggert - attrice feticcio di una delle più estreme esponenti della “Berliner Schule” ovvero Angela Schanelec - è una ricercatrice del Pergamon esperta di scrittura cuneiforme. Il progetto al quale insieme a un team di esperti lavora mira a dimostrare che le prime prove di scrittura risalenti a millenni fa non erano soltanto testi giuridici, come unanimemente risaputo da Hammurabi in avanti, ma che fosse insito dall’invenzione della scrittura in poi il desiderio di produrre testi fondamentalmente inutili, ovvero poetici. Alma si presta, nello scarso tempo libero, a far parte di un selezionato gruppo chiamato a sondare l’affidabilità in prima battuta giuridica di robot programmati per soddisfare le esigenze soprattutto amorose della clientela. Si tratterà in fondo di decidere se consentire ai robot gli stessi diritti anche civili dei veri esseri umani. A tal fine, dopo che Alma ha messo a disposizione dell’azienda programmatrice tutti i propri dati, le viene assegnato appunto un robot, un elegantissimo e cortesissimo giovanotto che risponde al nome di Tom (Dan Stevens) che dovrebbe possedere tutte le caratteristiche per renderla felice. Ma appunto Alma non vuole essere felice, le è richiesta solamente una expertise.

Come la cosa andrà a finire lo si capisce più o meno dopo dieci minuti, nessuna sorpresa, malgrado la regista Maria Schrader (negli ultimi vent’anni attiva soprattutto come attrice, di recente invece passata decisamente alla regia, con un ottimo biopic su Stefan Zweig in esilio e la miniserie Unorthodox ) e lo sceneggiatore Jan Schonburg facciano di tutto per relativizzare e dialettizzare ciò che fin dall’inizio si sapeva, ossia che Alma, donna fredda, workaholic e segnata da alcuni traumi del passato (per esempio ha perso un figlio poche settimane dopo essere rimasta incinta), di Tom finisce davvero per innamorarsi pur sapendo che non può, pur sapendo che non deve. Vuoi che Tom le ricordi il Tom di cui si era innamorata da ragazzina durante le vacanze in Danimarca, vuoi che i robot alla fine siano nettamente più gentili degli esseri umani (dei berlinesi senz’altro, noti come sono per la loro rozzezza…), fatto sta che se ne innamora. Anche se poi il film, molto didascalicamente ci spiega che in fondo non è la felicità che all’essere umano davvero interessa ma la ricerca della felicità (il celeberrimo “pursuit of happiness”), o come avrebbe detto Faust, lo “Streben”. Ma la scena più bella di questo film dignitoso per carità ma in fondo un po’ banalotto resta quella nella quale il buon Tom rivela ad Alma che la ricerca alla quale da anni sta lavorando è già stata compiuta: in una sperduta rivista di Buenos Aires si trova un articolo che ha già dimostrato la sua medesima tesi. Comodi, accidenti, gli algoritmi di Tom!


CAST & CREDITS

(Ich bin dein Mensch); Regia: Maria Schrader; sceneggiatura: Jan Schomburg, Maria Schrader, liberamente tratto dal romanzo omonimo di Emma Braslawsky; fotografia: Benedict Neuenfels; montaggio:Hansjörg Weißbrich; interpreti: Maren Eggert (Alma), Dan Stevens (Tom), Sandra Hüller (collega); Hans Löw (Julian), Wolfgang Hübsch (padre Felser); produzione: Letterbox Filmproduktion, Amburgo origine: Germania 2021; durata: 105’.


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