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Il bambino col pigiama a righe

Pubblicato il 24 dicembre 2008 da Sara Ceracchi


Il bambino col pigiama a righe

Esiste chi si spinge ad affermare che i film sull’Olocausto non andrebbero fatti, cosa forse esagerata e per certi versi anche grave da un punto di vista divulgativo, ma forse non del tutto scorretta sul piano cinematografico.
Ora la persecuzione degli ebrei da parte dei nazisti è forse l’evento storico che per ovvi motivi dovrebbe tutti i giorni essere “rinfrescato” nella mente dei più giovani ed anche dei meno giovani.
E’ anche vero però che in acque dove il bene e il male sono così chiaramente scissi è facile sguazzare, e negli ultimi anni si è assistito a un proliferare notevole di pellicole sull’argomento, e in ognuna si è cercato di offrire un punto di vista originale, in una specie di gara a trovare quello più impensato e commovente: quello del nazista buono, quello del bambino che crede di trovarsi in un campo giochi e così via, fino a questo Il bambino con il pigiama a righe: qui addirittura il piccolo protagonista, Bruno (Asa Butterfield), figlio di un ufficiale nazista che per meglio ottemperare ai suoi doveri si trasferisce vicino a un campo di concentramento, non è minimamente sfiorato dall’idea che i personaggi anoressici che si aggirano dall’altra parte del filo spinato non siano degli eccentrici che amano girare in pigiama.
Da poco trasferitosi da Berlino nella nuova casa di lavoro del papà, convinto che il campo recintato vicino sia una fattoria, Bruno si avventura fino al filo spinato, alla ricerca di nuovi amici. Qui incontra un piccolo prigioniero, Shmuel, che sembrerebbe anche più sprovveduto di lui malgrado tocchi la realtà del campo quotidianamente. Da qui in poi nulla più di quanto ci si potrebbe attendere: le due piccole vittime di un orrore più grande di loro stringono amicizia, tutti i giorni di nascosto si incontrano, separati dal recinto, chiedendosi perché mai dovrebbero essere nemici. Il film è purtroppo un festival di luoghi comuni -passi per i nomi dei due figli dell’ufficiale, Bruno e Greta (!)-, dove la volontà di approfondire un po’ i caratteri dei personaggi non va oltre l’abbozzo, quando superarlo avrebbe certo giovato a una riuscita dal sapore più profondamente corale del film; i personaggi che contornano la storia d’amicizia sono semplicisticamente quelli che s’incontrano in ogni film di questo tipo: ci sono i cattivi convinti, gli inconsapevoli, i consapevoli con qualche dubbio, come ad esempio il padre di Bruno, l’ufficiale che tramite sporadiche gocce di sudore sulla fronte dovrebbe dimostrare di avere a volte delle vaghe perplessità nei confronti dei metodi nazisti.
Il bambino con il pigiama a righe, che fin dal titolo dimostra l’intenzione di non andare oltre più di tanto, non ha quasi alcun pregio: nobilitato, come si diceva all’inizio, dall’argomento stesso, il film è ben lontano dai fasti di uno Schindler’s List, laddove almeno la ricostruzione storica fu memorabile sotto ogni punto di vista. Gli interpreti, costretti in ruoli alquanto monolitici fanno quel che possono, dentro una sceneggiatura più che prevedibile, anche se una nota di merito al piccolo Asa Butterfield è senz’altro dovuta. La scelta dell’interprete ci è sembrata particolarmente azzeccata, oltre che per le indiscutibili doti attoriali del bambino, per la sua stessa figura: capelli neri, assai poco ariani e grandi occhi blu, profondi e inquisitori, che meglio dei cento interminabili minuti di film, fanno riflettere sull’insostenibile peso di quanto accadde in quegli anni terribili di fronte allo sguardo di innumerevoli vittime innocenti.


CAST & CREDITS

(The Boy in the Striped Pyjamas); Regia e sceneggiatura: Mark Herman; fotografia: Benoît Delhomme; montaggio: Michael Ellis; musica: James Horner; interpreti: Asa Butterfield (Bruno), Jack Scanlon (Shmuel), Zac Mattoon O’Brien (Leon), Domonkos Németh (Martin), Henry Kingsmill (Karl), Vera Farmiga (Madre); produzione: BBC Films, Heyday Films, Miramax Films; distribuzione: Buena Vista; origine: USA, 2008; durata: 93’


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