X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Il beneficio del dubbio - Riflessioni sul cinema dei Vanzina

Pubblicato il 2 dicembre 2007 da Simone Isola


Il beneficio del dubbio - Riflessioni sul cinema dei Vanzina

Tra i critici di cinema il termine “vanzinata” è diventato ormai di uso comune, applicabile a piacimento e con compiacimento alle commedie più spiccatamente commerciali, dalla filosofia spicciola e volgare. Stiamo parlando di una coppia, Carlo regista ed Enrico sceneggiatore, che nel bene e nel male hanno intrapreso da oltre trent’anni un rapporto con il pubblico italiano fondato sulla serialità delle loro proposte e su rappresentazioni caricaturali della realtà.
Il critico di cinema li usa come termine di paragone negativo, escludendo a priori qualsiasi interesse e negando anche una semplice valutazione delle loro opere, sempre banali, qualunquistiche, volgari. Un cinema populistico e non popolare, sempre uguale a se stesso.
In realtà questi due fratelli romani – figli d’arte (da papà Steno) subito a contatto con il cinema italiano che conta – sono figure che non possono essere facilmente liquidate con preconcetti, anche per la disarmante coerenza della loro dedizione. Non si sentono artisti, vedono nel cinema il loro mestiere, hanno come velleità l’analisi dei vizi e malcostumi della società in cui vivono. Con i loro propositi si collocano, in teoria, sulla scia della nostra gloriosa commedia; in pratica l’ambiguità delle rappresentazioni ha notevolmente complicato la lettura critica dei film, favorendone al contrario il successo commerciale. Da Luna di miele in tre del 1976 sino a 2061, in questi giorni sugli italici schermi, i Vanzina hanno toccato tutti i peggiori vizi nazionali, dal tifo in Eccezzziunale... veramente al rampantismo anni ’80 di Yuppies I giovani di successo e di Via Montenapoleone, dalla volgarità dei nuovi arricchiti in Le finte bionde alla passione per il gioco nel seguito di Febbre da cavallo, sino alle truffe immobiliari di In questo mondo di ladri.
Una galleria di personaggi (spesso negativi), descritti con uno sguardo mai troppo acuto, che preferisce il simpatico compatimento alla denuncia, che tra le pieghe del riso assai difficilmente riesce a scorgere altro. Non si percepisce chiaramente, in sostanza, se i Vanzina tendano a deprecare o a glorificare il mediocre che rappresentano; i confini sono molto labili. Va riconosciuta la loro capacità di cogliere i cambiamenti della società, di valorizzare attori comici creando maschere proverbiali (l’Abatantuono ‘terrunciello’, la coppia Boldi-De Sica). I Vanzina trattano con affetto tutti i personaggi, da quelli buoni a quelli più aberranti, e in tutti c’è una sorta di medietà che non di rado si trasforma in mediocrità. Insomma, è possibile rappresentare l’Italietta dei ‘cummenda’ e dei figli di buona famiglia utilizzando gli stessi volti e facendo il verso alla televisione? L’ordine invalicabile è di rimanere in superficie, di non scendere in profondità per timore di smarrire il proprio pubblico.
Quando il loro sguardo si volge al passato, come in Sapore di mare o ne Il cielo in una stanza, la nebbiosa ambiguità si dirada nel ricordo vagheggiato di un’epoca felice, sulle dorate spiagge della Versilia come nelle serate al Piper, dove non c’è più la ricerca disperata della battuta, della risata a tutti i costi, dove il comico totem lascia spazio a un simpatico coro, sgangherato ma vivo. La rievocazione non può fare a meno degli stereotipi più immediati, delle canzoni d’epoca, dei luoghi comuni in cui lo spettatore può riconoscersi; l’atmosfera ricreata è spesso sincera, autenticata dalla dimensione autobiografica dei due Vanzina.
Quando invece il discorso si affida all’inventiva, alla metafora, ecco che i loro limiti vengono drammaticamente a galla, come in S.P.Q.R, in Selvaggi, dove le situazioni comiche restano allo stato embrionale o si sviluppano esclusivamente attraverso sketch visti mille volte, con belle donne, tette al vento, attori allo sbaraglio. Non si tratta, dunque, di misurare l’artisticità di una proposta con la bilancia dell’impegno sociale, ma neanche di condividere la passiva descrizione di un popolo mediocre e qualunquista in modi che lasciano spazio all’ambiguità.
In conclusione, sarebbe opportuna una seria valutazione di questi film, con uno sguardo complessivo sgombro da snobismo come da benevolo spirito da cercatore d’oro, sforzandosi di cogliere quanto di autentico c’è nelle storie e nei personaggi. Nella contraddizione, nel limite tra il disprezzo e l’adesione, tra impotenza e furbizia, e in fondo tra buona o cattiva coscienza, c’è tutto il cinema di Carlo ed Enrico Vanzina.


Enregistrer au format PDF