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Il Buio Nell’Anima

Pubblicato il 28 settembre 2007 da Fabrizio Croce


Il Buio Nell'Anima

Nel 1974 Paul Kersey, un tranquillo architetto della buona borghesia di New York, affrontava impotente il brutale omicidio della moglie e lo stupro della figlia da parte di una banda di teppisti, decidendo di sopperire, in maniera anarcoide ed eversiva, alle mancanze di polizia e forze dell’ordine incapaci di controllare il magma della delinquenza comune nella maniera più elementare ed efficace: impugnare la pistola e perseguire sistematicamente, come un cane da caccia, uno ad uno, i balordi della città.
Il film era Il giustiziere della notte - in originale suonava come il più evocativo Death Wish, "desiderio di morte" - e scatenò polemiche e proteste che non risparmiarono il regista Michael Winner e il protagonista Charles Bronson, accusati di fascismo, qualunquismo, di essere portatori di una pericolosa mentalità reazionaria che giustifica la vendetta pivata e la legittimità di possedere un’arma e di usarla senza troppi scrupoli anche se solo minacciati. Certo, quelli erano gli oscuri e sanguinosi anni ’70, tutti i sogni e quello americano in primis stavano velocemente sgretolandosi sotto il segno della violenza, dell’abuso e del sopruso concepiti in tutte le forme possibili, dalle guerre allo spionaggio politico, alla difesa della proprietà privata radicalizzata come valore sociale.
Comporta dunque una riflessione sconfortante vedere la società americana di questo discendente primo decennio del Duemila rappresentata nell’ultimo, disturbante lungometraggio dell’irlandese Neil Jordan che nel titolo soffre del disturbo opposto rispetto al film di Winner. L’originale The Brave One, la coraggiosa, diventa Il Buio nell’Anima, espressione esistenziale legata al percorso di Erica Bain, popolare conduttrice di una trasmissione radiofonica capace di raccontare e di far parlare attraverso le sue voci la città di New York (ancora New York) che rimane traumatizzata dall’aggressione da parte di due balordi armati di spranga e videocamera, dove perde la vita l’amato fidanzato picchiato a morte e le viene rapito il cane e comincia, neanche troppo lentamente a sprofondare in un turbine contagioso di dolore, frustrazione, rabbia, "desiderio di morte", in una Manhattan che potrebbe sembrare il Bronx tanto sono sfumati i confini ell’ambientazione notturna e piovosa.

Erica Bain ha le fattezze cariche di memorie di passate violenze subite e vendicate, recriminate e combattute come fossero i fantasmi di una grande coscienza femminile sepolta, tornate a chiedere conto, a far tornare tutti i nodi. Tali fattezze appartengono all’attrice-icona-donna Jodie Foster, la vera anima (anche produttrice) del film, un vero e proprio documentario virato di isteria, contratto, freddo, ora imploso ora con accenni di struggente melodramma sul volto e sul corpo di questa portabandiera di una complessità femminile sconfinante nelle zone più oscure e contraddittorie.
Diciamo subito che una presenza tanto ingombrante assorbe le immagini e la capacità di creare un’atmosfera e una struttura convincente e appassionante da parte di Jordan, rendendo di conseguenza il contesto piatto, insignificante, con il solito personaggio del detective diviso tra il senso del dovere e la comprensione delle ragioni del comportamento di Erica, i teppisti anonimanente e scioccamente violenti che imperversano nella metropolitana, lo sbrirro più rigido e attacco al dovere, il fidanzato sensibile e premuroso (il che rende l’atroce omicidio ancora più atroce), tutti cliché che permettono al film di navigare all’interno dei binari rassicuranti di un buon noir, ma che non aprono poi quell’approfondimento e quegli interrogativi etici e morali presenti nel citato e pomposo titolo italiano.
Forse l’unica tematica ritornante nel cinema di Jordan è quello della trasformazione, del cambiamento, della crisi dell’identità emotiva, sessuale, culturale visto che Erica da donna libera innamorata diventa un vigilante dallo sguardo iniettato di odio e pregiudizio, ma a questa metamorfosi non viene concesso il tempo necessario per esprimersi. Erica/Jodie diventa immediatamente la vendicatrice della notte, appena ripresa dall’aggressione e dimessa dall’ospedale,e dopo un’inutile attesa all’ingresso della stazione di polizia, è immediato l’acquisto della pistola e il suo utilizzo alla prima occasione buona (un rapinatore in un drug-store).

Non c’è osservazione, né rapporto tra la percezione soggettiva della violenza da parte di Erica, che dovrebbe diventare malattia dell’anima e non semplice coazione a ripetere, e registrazione oggettiva dall’atto criminale in sé come fatto gratutio e bestiale, impedendo quindi di penetrare la schizofrenia della protagonista. Il film di Winner nella sua rozzezza semplicisitca e nel faccione corrucciato di Bronson era più onesto nel porre la questione in maniera diretta: ha un uomo il diritto di armarsi e uccidere quando si sente minacciato?
Ma ripetiamo: qui c’è Jodie e quindi ci sono Iris, Sarah Tobaias, Clarice M.Starling, Ellie Arroway. C’è quella camminata venata di goffaggine, quel rifiuto della femminilità tradizionale, il corpo minuto che sembra potente e invincibile alle avversità. E c’è un’immagine bella che, ci piacerebbe dire, sarebbe in grado di giustificare il costo del biglietto. Erica/Jodie, compiuta la sua vendetta e chiuso il cerchio dell’odio, torna indietro sotto la galleria che all’inizio della vicenda l’aveva condotta in mano agli aggressori segnandone il destino. Il cane ritrovato le corre incontro e la voce narrante spezzata, roca, di Jodie stavolta contraddice l’azione "Non si può tornare indietro..."


CAST & CREDITS

(The Brave One); Regia: Neil Jordan; soggetto e sceneggiatura: Roderick Taylor, Bruce A.Taylor; fotografia: Philippe Rousselot; montaggio: Tony Lawson; musica: Dario Marianelli; interpreti: Jodie Foster (Erica Bain), Terrence Howard (Detective Mercer), Nicky Katt (Detective Vitale), Mary Steenburgen (Carol), Naveen Andrews (David Kimani), Jane Adams (Nicole), Ene Oloja (Josai); produzione: Susan Downey, Joel Silver, Jodie Foster, Bruce Berman, Dana Goldberg, Herb Gains; distribuzione: Warner Bros Italia; origine: USA 2007; durata: 1h e 59’


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