Il colore nascosto delle cose

A cominciare dal titolo la nuova opera di Silvio Soldini - che torna a girare un film di finzione dopo cinque anni - Il colore nascosto delle cose (simmetrico a: L’aria serena dell’Ovest, Un’anima divisa in due…) è un film con molti difetti; ma anche con qualche pregio. Il difetto principale è il diverso grado di approfondimento - che poi si traduce in diversa credibilità - dei due personaggi principali. Tutta la parte di sceneggiatura legata alla figura del protagonista maschile il creativo Teo, interpretato da Adriano Giannini, è banale e prevedibile, con dialoghi noiosi e ripetuti, con la descrizione del mondo della pubblicità - che non dubitiamo sia davvero così -, che suona tuttavia davvero posticcio: il capo che vuole il “prodotto” in tempi rapidi perché non si può permettere di perdere l’importante cliente (una nota marca di automobili, evviva il product placement), il collega sfigato che intercala con un insopportabile “vai in mona”, i giovani in cerca di affermazione, il loft un po’ anni ’90. Insomma, un’occhiatina a Mad Men da parte degli sceneggiatori non avrebbe fatto male. E anche la vita privata del personaggio non convince granché: un coglioncello diviso fra una fidanzata nevrotica che lo vorrebbe definitivamente accalappiare, mettendo su casa nella vana attesa che anche lui vi si trasferisca, e una relazione tutta sesso con una donna sposata. E anche il passato del protagonista, denso di traumi affettivi, su cui regna per quasi tutto il film una cappa di silenzio, e che apprendiamo tutto insieme in un racconto rapidissimo (che a quel punto suona stracarico), convince poco, così come convince poco il nostos finale con improvvisa ri-scivolata nel vernacolo toscano d’origine.
Di tutt’altro spessore invece tutta la parte di sceneggiatura che ruota intorno a Emma, la protagonista femminile, interpretata da Valeria Golino, davvero bravissima. Qui si vede che alle spalle c’è una ricerca credibile sul personaggio e sulla sua condizione, testimoniata del resto dal documentario girato da Soldini nel 2013 Per altri occhi – Avventure quotidiane di un manipolo di ciechi. Perché per l’appunto Emma è cieca, dall’età di diciassette anni, fa di mestiere l’osteopata e, nei ritagli di tempo, oltre ad avere una serie impressionante di hobby, dà ripetizioni e fa da coach psicologico a Nadia, una ragazzina a sua volta non vedente, fa la guida di visitatori normodotati in una galleria buia del Macro, una sorta di sballo tipo “tunnel della paura” nell’epoca del politically correct. Il mondo dei ciechi è rappresentato nel film, oltreché da Nadia, da Patty, un’amica veneta di Emma, a cui dobbiamo la battute più divertenti del film e che riesce, com’era già successo nel documentario, a declinare l’handicap anche in una tonalità leggera, un personaggio che ricorda nell’inflessione, la nuora di Bruno Ganz in Pane e tulipani, quella, a proposito della quale, il protagonista usava l’indimenticata espressione “L’apparenza la penalizza”. E a proposito di apparenza: quando, al cinema, il protagonista o uno dei protagonisti è cieco, presto o tardi, il film finisce per assumere una valenza autoriflessiva quando non allegorica sull’atto del vedere, sui dispositivi della visione (si noti peraltro anche la scelta del formato 2,35:1, che accentua la porzione nera dello schermo) e appunto sul rapporto fra apparenza e sostanza, fra chi vede, ma vede solo la superficie, e chi non vede, ma sa andare oltre- un aspetto, questo, ulteriormente accentuato dal fatto che, fra le cose che fanno insieme, Emma e Teo, vanno, guarda caso, anche al cinema. Sarebbe interessante sapere che cosa vedono, o meglio cosa vede e racconta lui a lei. E sarebbe interessante sapere se un uomo colto come Soldini non abbia qua e là inteso richiamarsi alla ricca tradizione di film sui/con i ciechi (la pagina in inglese, sicuramente lacunosa, di Wikipedia denominata “Film About Blind People” segnala la bellezza di 105 film). Non di rado si ha, ad esempio, la sensazione che attraverso il tentativo – a giudizio di chi scrive: alla fine non plausibile e non riuscito – di documentare, in grazia del rapporto con la donna cieca, la crescita e l’evoluzione di Teo, rimandi a uno dei più grandi film di questa categoria, ossia Magnificient Obsession (1954) di Douglas Sirk. Anche se, ovviamente, siamo a tutt’altro livello. Ciò malgrado, come si diceva, tutta la parte del film in cui la macchina da presa tallona Emma e gli altri due personaggi non vedenti è molto convincente perché si avverte e si apprezza il frutto di un accurato studio sul campo oltreché, come già si diceva, il grandissimo talento interpretativo di Valeria Golino. La conclusione è decisamente un po’ dolciastra.
(Il colore nascosto delle cose). Regia: Silvio Soldini sceneggiatura: Silvio Soldini, Doriana Leondeff, Davide Lantieri; fotografia: Matteo Cocco; montaggio: Michele Bertini Malgarini, Carlotta Cristiani; interpreti: Valeria Golino (Emma), Adriano Giannini (Teo), Laura Adriani (Nadia), Arianna Scommegna (Patty), Anna Ferzetti (Greta), Valentina Carnelutti (Stefania) ; produzione: Lumière & Co, Raicinema, Ventura Films origine: Italia-Svizzera 2017; durata: 115’.
