Il condominio dei cuori infranti

In francese si chiamano con l’acronimo HLM ovvero “habitations à loyer modéré”, qualcosa di molto simile alle nostre case popolari. In un fatiscente condominio HLM, alla periferia di Colmar (ma potrebbe essere qualunque altra città) si svolge Asphalte, il quinto film del regista (e scrittore) Samuel Benchetrit, il primo che arriva in Italia, forte - da un lato - del fatto che era stato presentato a Cannes fuori concorso esattamente un anno fa, nonché - dall’altro - della circostanza che il libro da cui è liberamente tratto, opera dello stesso regista, è già uscito in Italia da Neri Pozza, col titolo Cronache dall’asfalto, laddove il titolo italiano del film, diciamolo, è semplicemente orribile oltreché, alla fine, anche sviante.
Come ha scritto Mariarosa Mancuso: le pellicole ambientate in luoghi del genere danno vita a film di denuncia oppure a film sbalestrati, insomma, si potrebbe glossare, Dardenne oppure Kaurismäki. Il film di Benchetrit si situa nettamente in zona Kaurismäki, raccontando e intrecciando con crescente leggerezza tre storie una più improbabile dell’altra: un “Major Tom” che qui si chiama John McKenzie di cui il “ground control” della NASA ha perduto le tracce e che plana a bordo della sua buffissima navicella sul tetto del casermone fra gli sguardi neanche troppo attoniti degli abitanti evidentemente abituati a tutto, per poi suonare il campanello alla casa di una vedova maghrebina (la quale, maternamente, lo accudisce) prima di ripartirsene in gran segreto con tanto di couscous nel tupperware; un timidissimo panzone che si schianta sulla cyclette e da quel momento è costretto su una sedia a rotelle a spedizioni notturne in cerca di cibo (deve usare l’ascensore di nascosto perché si è rifiutato di pagare la quota condominiale, stava al primo piano e pensava di non averne bisogno…) e qui s’imbatte in una infermiera del turno di notte in pausa sigaretta (Valeria Bruni Tedeschi) con cui condivide timidezze e imbarazzi e una potenziale, ma alla fine solo potenziale, tenerezza; infine Charly, un ragazzo (che poi non è altri che il figlio del regista e della povera Marie Trintignant, il diciassettenne Jules) che fa amicizia con la vicina di pianerottolo, una nevrotica e alcolizzata Norma Desmond della banlieue, interpretata da Isabelle Huppert, appena trasferitasi nel casermone, segno, se mai ce ne fosse stato bisogno, della sua progressiva decadenza professionale, in una relazione dove è più il ragazzo a proteggere e rimotivare la signora che viceversa.
Ambientato in un oggi che è anche uno ieri, il film è girato in un anomalo 4:3 e vive di montaggio, di silenzi, di una apparente incomunicabilità, che riesce tuttavia paradossalmente a trasformarsi nel suo contrario proprio là dove capirsi sembrerebbe davvero troppo complicato, per esempio, nei dialoghi stralunati ed esilaranti fra l’astronauta e la mommy maghrebina o in quelli ancor più sofferti fra il condòmino ribelle in sedia a rotelle chiamato – nomen omen – Sterkowitz e l’infermiera. Dietro un certo esibito laconismo pauperistico il film è in realtà ipercolto e ultracitazionista: si notano, più o meno casualmente (?) disseminati per le case, in ordine sparso: 1) il manifesto di Die Hard; 2) una foto di scena tratta da Todo Modo di Elio Petri; 3) riferimenti a Beautiful (con l’americano che rivela alla sua temporanea padrona di casa quel che negli USA già si sa da mo’ circa lo sviluppo della trama in un’epoca di vero spoiling…); 4) la VHS di un film giovanile dell’attrice al tempo in auge (si tratta de La merlettaia di Claude Goretta, il film che di fatto rese celebre la Huppert, qui ribattezzato La donna senza braccia, e trasformato in un bianco e nero che lo rende ancor più nouvelle vague) – con l’attrice che introduce il ragazzo ignaro al cinema d’autore di una volta, fino ad arrivare a: 5) una sequenza che scorre in televisione de I ponti di Madison County rispetto a cui l’accenno di storia d’amore fra l’infermiera e l’uomo in sedia a rotelle (che per rendersi interessante si dichiara di professione: fotografo) rappresenta una evidentissima, seppur solo accennata variazione, per concludere con: 6) il cigolio che di continuo pervade quelle lande desolate che a tutti pare un grido e che ricorda The Kingdom di Lars Von Trier (l’ospedale, del resto, è nei pressi). Un piccolo film di solida scrittura, ben recitato e divertente.
(Asphalte); Regia: Samuel Benchetrit; sceneggiatura: Samuel Benchetrit; fotografia: Pierre Aim; montaggio: Thomas Fernandez; interpreti: Isabelle Huppert, Gustave Kervern, Valeria Bruni Tedeschi, Tassadit Mandi, Jules Benchetrit, Michael Pitt; produzione: La Caméra Deluxe, Maje Productions, Single Man Productions; distribuzione: nome del distributore italiano; origine: Francia, Inghilterra, 2015; durata: (esempio) 100’;
