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Il contagio

Pubblicato il 28 settembre 2017 da Anton Giulio Onofri
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Il contagio

Dopo Scuola di Nudo, Un dolore normale e Troppi Paradisi, tre folgoranti e diversissimi romanzi pubblicati da Einaudi, Walter Siti ne ha scritto un quarto, scegliendo però di cambiare editore. Il contagio uscì infatti nel 2008 per i tipi di Mondadori. Al di là del nemmeno troppo celato malcontento dell’autore per una presunta incuria dimostrata nella promozione dei suoi titoli, cosa lo spinse ad abbandonare la più importante casa editrice italiana per affidarsi ad un’altra certo non meno importante ma dal taglio senz’altro più commerciale? Vicende di natura professionale lo avevano già da qualche anno portato a spostarsi a Roma, migrandovi da Milano, teatro delle vicende narrate nei primi lavori da un ’io’ che gioca a mescolare con perfetta efficacia affabulatrice elementi autobiografici e di finzione. Quella Roma da dove Siti, concluso uno dei tanti cicli che cadenzano la vita dei liberi professionisti e degli intellettuali, è poi ripartito verso il Nord, non senza aver congedato la Capitale anche nel suo Resistere non serve a niente, romanzo che gli è valso il premio Strega nel 2013. L’ingresso di Roma nella vita di chi ci arriva nella piena maturità, meglio dire forse l’intrusione della Roma di oggi, quella di cui la pessima gestione della giunta Raggi non è che la schiumosa mucillagine di una lunga, nera marea che la sta affondando, può pesantemente influire sull’opinione che può farsene un “forestiero”, che si scontri con la sua cinica indifferenza, la sua strafottenza fondata sul merito di vivere in una città il cui valore non è percepito con cognizione (come succede ai napoletani), ma viene assunto per induzione coatta come dato indiscutibile e garantito, alla stregua del tifo per la squadra di calcio cittadina. Una città che ormai sommersa sotto i suoi troppi strati di Storia ha mancato, proprio con la Storia, qualsiasi appuntamento, neppure consapevole di praticare ogni giorno, dalla mattina alla sera, un cupio dissolvi che ignora l’essenza stessa di questo insano desiderio di auto-annientamento che coinvolge tutti gli strati sociali compreso l’ormai ex-proletariato, vissuto nell’illusione di un permanente automatismo rigenerativo cui ormai, finalmente, inizia a non credere più nessuno. Forse nemmeno i romani.

È questo il contenuto di un libro che, nel non casuale passaggio ad un’altra casa editrice, registra il conseguente mutamento di rotta, sotto il profilo dello stile e dei contenuti, di un autore tra i più autentici “scrittori” della nostra letteratura recente, erede della tradizione di una scrittura applicata alla vita come etica e manifesto morale, che non esclude, anzi ne parte come da una fonte imprescindibile di ispirazione, l’estatica contemplazione di una bellezza e di una poesia da ricercare e perseguire come uniche vie di salvezza e riscatto. Un tentativo, a parere di chi scrive, non del tutto riuscito di firmare un’opera più “pop”, meno “cólta” delle precedenti, per puntare a fasce più allargate di pubblico. A questo punto potrà sembrare un paradosso affermare che quello che al libro di Walter Siti è riuscito solo in parte, conferisce ad un film non certo privo di difetti come Il contagio di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, presentato a Venezia nelle Giornate degli autori, il suo più convincente elemento di forza. Questa vena più pop che nella pagina scritta non raggiunge una dignità letteraria compiuta, trova, sullo schermo e nelle immagini dei due giovani registi romani, un’espressione più congrua da ballata nera metropolitana, che azzarda con mai presuntuosa audacia un aggiornamento di quelle che ai tempi di Pasolini erano le borgate della periferia romana, e che oggi sono diventate nuovi centri satellite lontanissimi da quel centro che sembra prima attrarle e fagocitarle per poi risputarle consegnandole ad un destino di squallida dismissione. Il contagio, in breve, esprime nei termini di un cinema decisamente orientato verso il pubblico che normalmente frequenta le sale in cerca di svago e intrattenimento, la voce della nuova Roma, volgare, becera, vantona e priva di spessore. Non sempre i toni sono azzeccati, e nell’ostentato romanesco di quasi tutti gli attori – fenomeno più stridente nel caso della parte femminile del cast – si avvertono forzature ed eccessi che trovano forse giustificazione solo se si guarda il film come si leggevano certi fumetti ‘proibiti’ degli anni ’70 e ’80 (ricordate collane come “Provincia segreta” o “Corna vissute”?), che tuttavia illustravano il mondo subalterno delle periferie e della provincia dell’era pre-berlusconiana con un’incisività molto maggiore rispetto a quella letteratura ‘alta’ che iniziava, ma ancora con troppa timidezza, ad occuparsene. Il coraggio di Botrugno e Coluccini emerge vistosamente nel volontario rifuggire dall’imitazione dello stile televisivo delle fiction ‘malavitose’ made in Italy (come avevano già dimostrato nel precedente Et in Terra Pax, presentato sempre a Venezia nel 2010), per restare con caparbietà ammirevole nel solco del cinema. Un cinema, lo si diceva, imperfetto, di lana grossa, che vuole arrivare al pubblico di platee cospicue e paganti senza troppi complimenti, ma che infila qua e là, utilizzando un tratteggio più autoriale, momenti di cinema concepito e messo in scena con un’ambizione degna di rispettosa considerazione, in previsione di imprese future auspicabilmente più rifinite.

Ma l’argomento più forte e centrale del film, considerandone la fonte letteraria e il suo autore, Walter Siti, che non ha mai fatto mistero di una natura sessuale vissuta secondo schemi e criteri molto distanti, anzi meglio dire del tutto estranei ai codici comportamentali più diffusamente conosciuti dell’universo maschile “gay”, è l’omosessualità del personaggio del “professore” (nel libro, alter-ego dello stesso Siti), interpretato con sobrietà e tenerezza virile da un inedito Vincenzo Salemme. La sua relazione con Marcello (un ruvido e intrigante Vinicio Marchioni), balordo che concede a lui soltanto il proprio corpo statuario scolpito in palestra, viene rappresentata sullo schermo con l’espediente di una gestualità tattile e minimale commentata dalla voce fuori campo del professore che legge, fedelmente tratte dal libro, le magnificazioni estatiche dei dettagli corporali dell’amante che più stimolano il suo eros. Ecco, potrà piacere o meno, ma nel cinema contemporaneo, e non solo italiano, non capita mai di vedere un’omosessualità così stilizzata eppure al contempo tanto “forte”. E bene funziona anche appena adombrare l’omosessualità di un altro personaggio, il più furbo e fortunato Mauro (interpretato con generosità da Maurizio Tesei, forse il migliore in campo), che nasconde in cuor suo una mai del tutto consapevole e soprattutto mai apertamente esplicitata attrazione per Mauro: il colloquio dei due amici sdraiati su un prato sullo sfondo dell’alba, tra i pochi momenti distesi e sereni di un film lanciato verso il fondo di una spirale implacabile come una sabbia mobile, è una delle cose migliori del film.

In conclusione, non può dirsi certo che Botrugno e Coluccini possiedano ormai quella padronanza di gestione del proprio talento per riuscire a dominare tutta la carne che mettono al fuoco e calibrare le proprie (sacrosante) ambizioni: l’uso del rallentatore accompagnato da un valzer dolente composto da Paolo Vivaldi denota una forse non necessaria nostalgia per certo cinema degli anni ’90 dello scorso secolo (in particolare In the Mood for Love di Wong Kar Wai), e alcuni elaborati piani sequenza richiederebbero un maggior numero di prove per curare in dettaglio i movimenti di ognuna delle numerose comparse; ma, “come se dice a Roma”, Viva la faccia! Poi, tutto suona, anche se troppe volte “sopra le righe”, così spontaneo e istintivamente orchestrato, da augurarsi che il pubblico risponda, e che non si dovranno attendere altri sette anni per vedere il loro terzo film.


CAST & CREDITS

(Il contagio); Regia: Matteo Botrugno e Daniele Coluccini; sceneggiatura: Daniele Coluccini, Matteo Botrugno, Nuccio Siano; fotografia: Davide Manca; montaggio: Mario Marrone; musica: Paolo Vivaldi; interpreti: Anna Foglietta, Vinicio Marchioni, Giulia Bevilacqua, Maurizio Tesei, Vincenzo Salemme, Nuccio Siano; produzione: Gekon Production, Gianluca Arcopinto, Kimerafilm, Notorious Pictures, Rai Cinema; distribuzione: Notorious Pictures; origine: Italia, 2017; durata: 110’


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