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Il fascino "complicato" della borghesia

Pubblicato il 28 marzo 2010 da Alessandro Izzi


Il fascino "complicato" della borghesia

Lei è Jane, donna divorziata già da dieci anni che ha dovuto crescere, quasi da sola, i tre figli avuti durante un lungo ed apparentemente felice matrimonio.
Lui è Jake, il marito fedigrafo che prima abbandona la moglie e poi corre dietro le gonne di una ragazza infinitamente più giovane e con figlioletto di cinque anni a carico.
Entrambi si lasciano con infinita civiltà, restando amici nella consapevolezza che una separazione tra liti furiose è impossibile quando ci si è amati tanto per quasi venti anni. E, del resto, non ci sono problemi economici a metter su zizzania: lei è una brillante e capace cuoca che mostra le bruciature sulle sue braccia come un soldato esalterebbe le cicatrici ottenute in battaglia (è la scena più godibile del film), lui un non meno brillante avvocato con macchina di lusso e suite d’albergo riservate.
Eh si! Nel mondo immaginato da Nancy Meyers tutto si svolge nelle ville lussuose di un’alta borghesia ricca e anche un po’ spaventosa (lei dichiara di amare The hills, il più becero reality show tuttora programma sulle televisione americane, e si incanta davanti ad Oprah Winfrey insieme col marito che ha appena rischiato un infarto). Tutto si muove dentro ampie e linde cucine, in camere da letto che sanno di broccato e in stanze da bagno dove le docce son piccoli salotti cui manca solo la TV. Tutto si articola tra bottiglie di vino consumate nei bar dei più lussuosi alberghi e tra uno spinello d’erba buona che si fuma in ricordo dei vecchi tempi quando non si era hippie, ma si condivideva coi figli dei fiori la formula dello svago dei sensi attraverso le droghe.
In questo mondo cotonato, dove anche per mangiar due chicchi d’uva tiri fuori il piatto di porcellana e la posata d’argento, per lo più si parla. Si parla di sesso con le amiche più care. Si parla di amore coi figli già cresciuti. Si parla di ricette coi commensali delle belle tavolate e di progetti con gli architetti che, puoi giurarci, son lì solo per ampliarti una casa che già ti ci perdi dentro.
Nella formula del bla bla bla si consuma tutta la poetica della Meyers che usa lo sfondo asettico della classe borghese e ricca per mettere in scena le storie di sempre.
Jane è triste e confusa perché la figlia più piccola ha messo le ali e lascia il nido proprio mentre il più grande finisce il college e pensa al mondo del lavoro. Si sente sola e guarda con invidia l’ex marito che palpeggia il corpo ancora giovane della di lui nuova moglie. Lui percepisce la possibilità di un ritorno a casa con la donna di una vita e si fa sotto con un corteggiamento serrato che vuol essere prima di tutto il rifugio nelle pantofole che la compagna di adesso gli nega nel suo disperato bisogno di nuova maternità.
Così Jake e Jane si rimettono insieme. Fanno sesso una prima volta immersi nei fumi dell’alcool, poi di nuovo il giorno dopo, a casa di lei, mentre lui sogna di poter fare colazione coi cereali della cucina mentre lei sente il peso di un senso di colpa insopprimibile che è anche paura di ripetere un errore già commesso. Intanto passa da quelle parti Steve Martin, fresco di un divorzio di due anni e mezzo prima, che diventa il terzo lato di un triangolo improbabile e strano dove tutto si predispone per un happy-end che impiega ben due ore per ormeggiare in porto.
Nancy Meyers non è Cukor, ma ci prova. Compila una sceneggiatura che è una serie di fuochi artificiali di fila e li impagina in una sequela dal ritmo scoppiettante di una girandola di confusioni sentimentali. Jane non sa che partito prendere e si consuma nell’attesa di una decisione. Jake lascia la moglie nuova in cerca della vecchia, ma non si avvede che la sua è una crisi di mezza età. E Adam, il terzo incomodo, si mette a bordo campo e aspetta che gli altri risolvano i conti col loro passato.
In mezzo i volti freschi di figli che sembrano più giovani della loro età effettiva e di comprimari che assolvono al loro dovere contrattuale con invidiabile precisione cronometrica.
Il film funziona perché la Streep è capace di dare spessore ad un personaggio anche solo muovendo il mignolo della mano sinistra e perché Alec Baldwin e Steve Martin son simpatiche canaglie. La sceneggiatura li serve bene come un piatto di portata. A mancare, quindi, è solo la regia.


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