X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Il Leone Bertolucci

Pubblicato il 20 giugno 2007 da Alessia Spagnoli


Il Leone Bertolucci

L’ultima volta era sbarcato al Lido di Venezia mostrando trionfalmente – ostentando, dicono i maligni – ai fotografi il suo pugno chiuso, Bernardo Bertolucci. Uno scatto che ha fatto rapidamente il giro del mondo, rimbalzando da un medium all’altro. Era il 2003 e l’autore presentava alla Mostra del Cinema il suo ultimo lungometraggio (che rimane tale, al momento), The Dreamers. E, tanto per cambiare, suscitava un codazzo di inutili, quanto sterili polemiche tutte italiche sull’argomento: il suo era considerato, in maniera assai bizzarra, un gesto quasi ‘ineducato’. Ma ci è abituato, Bernardo: chi, più di lui, può dire di aver ‘fatto il callo’ a tante tediose controversie, dettate spesso dall’assoluta grettezza del sentire nostrano? Quest’ultima doveva apparirgli, probabilmente, come la più innocua fra tutte, soprattutto per uno che si era giocato addirittura il diritto al voto a causa di un film ritenuto un vero e proprio oltraggio al pudore, lesivo della dignità artistica che dovrebbe sempre competere a un’opera filmica (Ultimo Tango a Parigi)! Come un criminale!
La sua celebrata trilogia orientale (L’Ultimo Imperatore, 9 Oscar!, Il Tè nel Deserto, Il Piccolo Buddha) è stata, per bocca del suo stesso autore, dettata soprattutto dal desiderio di allontanarsi dall’Italia, in una fase in cui, per lui, l’‘aria era diventata davvero irrespirabile (come lamenta oggi un suo illustre conterraneo). Sarebbe tornato solo quindici anni dopo, con Io Ballo da Sola del 1996, a realizzare film nel nostro, nel suo Paese, ma rifuggendo significativamente gli spazi chiusi (della politica, dell’angoscia) e immergendo la sua giovane protagonista Lucy (‘luce’) nel tripudio esultante del verde della campagna toscana. Come se si disponesse a riguardare la sua terra coi suoi stessi occhi, stranieri e ancora ignari delle brutture del mondo.
Ad esso ha fatto seguito, nuovamente, un film più oscuro, magnifico, e, purtroppo, poco visto: L’Assedio. Di nuovo ambienti angusti e oscuri, di nuovo le ragioni dell’amore e quelle della politica, tanto lontane, intrecciate insieme. Infine, ecco la nuova fuga: fuori dall’Italia, verso il passato. The Dreamers, appunto. Certo, poi lì lo stimolo derivava piuttosto dalla stretta attualità e dalla nascita dei nuovi movimenti per la pace, che Bertolucci ha visto spuntare anche e soprattutto nella penisola, in anni recenti.

Cineasta coltissimo, nella sua opera risuonano contaminazioni eterogenee, che spaziano (è il caso di dirlo: il cinema di Bertolucci è un cinema en plain air che ama, si nutre, di sconfinati spazi aperti, di scene-madri ‘bagnate dal Sole’: dalla luminosa Emilia, e dalla regione della sua Parma in particolare, agli ampi boulevards parigini) dalla grande tradizione lirica italiana al cinema di poesia pasoliniano, ai film di genere americani. Il mélo, certamente: ma il suo è un melodramma all’italiana, più che all’americana (di tradizione lirico-verdiana, cioè). Diremmo piuttosto, dunque, del noir, della detection-story: i film bertolucciani celano spesso al loro interno un mistero da svelare, un’indagine condotta attorno a un passato enigmatico da far riemergere faticosamente, che spesso, dall’enigma del singolo, finisce col riannodare i fili della ricerca personale a quella di un’intera collettività. Una ricerca delle origini che si traduce spesso in una ‘ricerca dei padri’.
Quanti padri, più o meno putativi, ha avuto Bernardo? Intanto Attilio, poeta della natura, cantore dell’amata terra natìa. Poi, l’altro grande poeta, il suo mentore: la nascita al cinema avviene nel segno di Pasolini, autore del soggetto de La Commare Secca, ma anche evidente ispiratore dello stile filmico.
Altro papà, stavolta in terra d’Oltralpe, è il militante Godard, come Bertolucci, fautore del Cinema-Cinema. I suoi (i loro) film si offrono, prima di qualsiasi altra considerazione, al puro piacere dei sensi. L’estrema raffinatezza, di forme e di poetica, gli viene oggi riconosciuta universalmente. Durante la penultima edizione di Cannes, un grande autore americano contemporaneo come Sydney Pollack, omaggiato dal festival, si schermiva, affermando: “Io intervengo soprattutto nella sceneggiatura e poi, sul set, nella direzione degli attori. Non sono un regista-stilista come Bertolucci, ad esempio: sono molto invidioso e ammirato dal suo lavoro”.
Bertolucci, dopo i suoi esordi, ha preferito spesso rivolgersi al passato: in questo, è accostabile anche a Visconti (altro esponente ‘colpevolmente raffinato’ del partito, capofila della rivoluzione del Neorealismo, nei primi film, poi proiettato nostalgicamente verso il passato). Ma, come dicevamo, anche questo non è completamente esatto: probabilmente un tale giudizio di merito risente dell’influsso del suo ultimo lavoro, The Dreamers (più amato dai ‘cinefili puri’, meno apprezzato, poiché ‘anacronistico’, a detta della critica più imberbe, che ne disconosce, probabilmente, il primo aspetto). I suoi film del passato parlano sempre, in controluce, anche del mondo contemporaneo. Come i film ambientati nel presente, dal canto loro, sono inequivocabilmente imbevuti di un dominante sentimento del passato.
Ma le incomprensioni di fondo, decretano anch’esse, un’ulteriore ragione del fascino del cinema di Bertolucci. Come se avesse ereditato da Pasolini, non solo un mestiere, ma la vocazione stessa al martirio, al linciaggio mediatico. Ma a distanza di anni, si torna a parlare dei suoi film, e non solo dei più giustamente celebrati anche all’epoca.
L’opera di Bertolucci, insomma, pur tanto vasta, non conosce cali di tensione, non momenti di appannamento. E proprio le pellicole meno note e più misteriose, come quell’autentico gioiello che è La Luna, piuttosto che L’Assedio, o un film come La Tragedia di un uomo ridicolo, concorrono a far ripensare la straordinaria ricchezza dell’opera omnia bertolucciana, come un percorso ancora largamente da ripercorrere e riscoprire.
Per tutte queste ragioni, salutiamo il Leone d’Oro del 75° Anniversario della Mostra del Cinema di Venezia, come un tributo particolarmente dovuto a uno dei principali protagonisti del nostro cinema. Quale regista è più felino di lui? Più graffiante e, insieme, aggraziato?


Enregistrer au format PDF