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IL MONDO IN UNO SCHERMO

Pubblicato il 7 febbraio 2005 da Francesca Leonardi


IL MONDO IN UNO SCHERMO

Cinema of the future: Sturm und drang, Cinema of the world: Time and Tide, Maestros: Kings and aces queste le denominazioni altisonanti delle principali sezioni che affiancano i film in concorso al 34° International Film Festival di Rotterdam. Se i film in competizione per la tigre d’oro sono 14, il numero di opere proposte da queste sezioni parallele non è inferiore a 150. Una vasta panoramica su quanto è stato prodotto nel mondo nell’anno 2004. I confini che separano le une dalle altre queste mega-sezioni sono piuttosto fluidi. Cinema of the future predilige i giovani cineasti (ma si arriva fino a oltre i quarantacinque anni) e le opere più polemiche nei confronti della società, con particolare attenzione alle realizzazioni che mettono in scena il disagio giovanile nei confronti della realtà circostante. Tra la cinquantina di film proposti segnaliamo due lungometraggi inediti che tematizzano in modo differente quest’aspetto. Absolut è thriller politico, diretto dello svizzero Romed Wyder, dove il tentativo di due giovani hacker di far saltare un summit internazionale viene narrato dal punto di vista di uno dei due, con problemi di memoria in seguito a un incidente. Il racconto lineare viene così decostruito, saltano i confini tra realtà e proiezione mentale, e alla suspense dell’azione di terrorismo informatico si aggiungono le emozioni destabilizzanti di una personalità disturbata, creando un’atmosfera che a tratti rimanda a Memento (Christopher Nolan, 2000). Un’insoddisfazione che non sfocia in ribellione politica ma si esprime piuttosto attraverso l’apatia, è messa a fuoco da My Generation, opera prima del sud-coreano Noh Dong-Seok. Girato in bianco e nero a bassissimo budget, il film fotografa uno stralcio di vita di alcuni giovani di Seul che si trascinano stancamente, nell’incapacità di comunicare, alla ricerca di soldi e di un’occupazione. La sezione Cinema of the World, raduna 65 lungometraggi che aprono una finestra sul mondo. Se Cinema of the future privilegia i film di finzione, qui troviamo anche numerosi i documentari. Un’ampia selezione rivela gli interessi più svariati, dall’indagine politica, alla storia artistica e culturale, passando attraverso varie e stimolanti commistioni di generi e di approcci. In Arafat, mon frère, il regista Rashid Mashrawi (Ticket to Jerusalem, 2002) accompagna Fathi Arafat, fratello minore di Yasser, nei suoi spostamenti dal Cairo a Parigi, dal Libano, a Ramallah. Emerge non tanto o non solo il ritratto del leader palestinese visto dagli occhi del fratello, quanto una riflessione sulla malattia. Fathi, medico di professione e direttore della Croce Rossa palestinese, è malato di cancro e le interviste spesso si svolgono durante le cure e i trattamenti, mentre lo stesso Arafat, nelle brevi sequenze in cui appare, porta i chiari segni del suo male. Fathi muore a fine 2004, 3 settimane dopo il decesso di Yasser. L’umanizzazione di un mito politico si realizza attraverso uno sguardo senza tabù sul corpo malato. Da un’altra zona calda del pianeta, proviene Bagdad Blogger. Salam Pax Video Reports from Iraq, che riunisce 7 brevi video cronache realizzate per la BBC news da Salam Pax, trentenne iracheno che si è fatto conoscere grazie al suo diario in rete. Stimolanti reportage dall’Irak post-Saddam che coniugano un taglio televisivo rapido e informativo con una prospettiva dall’interno e in prima persona. Passiamo alla Cina della Rivoluzione culturale e al tentativo di piegare l’arte alla politica con Yang Ban Xi - The 8 Model Works, documentario sulle commedie musicali promosse da Jiang Qing, moglie di Mao, quali il mitico The Red Detachment of Women (1970), ovvero propaganda maoista in salsa hollywoodiana. Diretto da Yang Ting Yuen, originaria di Hong Kong emigrata in Olanda, il film raccorda le immagini d’epoca, con le interviste e con delle vivaci aperture sulla scena musicale cinese contemporanea. Infine, ricordiamo Alias Kurban Said, un’inchiesta storico-letteraria sull’autore del romanzo Ali e Nino, pubblicato a Vienna nel 1937, storia di un amore impossibile tra un giovane mussulmano e una donna di famiglia cristiana, in Azerbaijan al tempo della rivoluzione russa. L’indagine sull’identità dello scrittore che si cela dietro lo pseudonimo Kurban Said, porta il regista, l’olandese Jos De Putter, dall’ex repubblica sovietica, agli Stati Uniti, passando per Germania e Italia. Un giallo letterario, dove più che dalla spiegazione siamo sedotti dal moltiplicarsi delle ipotesi e delle spiegazione plausibili così come dalle figure e dai percorsi evocati di alcuni intellettuali che negli anni ‘20 e ‘30 si spostavano nei diversi paesi europei. Concludiamo ricordando la sezione dedicata ai Maestros, che intende isolare gli autori più noti e presenta gli ultimi opus di Wong Kar Wai, Hou Hsiao Hsien, Oliver Assayas, peraltro già visti ad altri festival internazionali e spesso anche usciti in sala. Una sezione tutto sommata non meno eterogenea delle precedenti, basti pensare che per l’Italia troviamo Gianni Amelio al fianco di Tonino de Bernardi!

[febbraio 2005]


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