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IL PRINCIPIO DELL’INCERTEZZA

Pubblicato il 18 agosto 2002 da Alessandro Borri


IL PRINCIPIO DELL'INCERTEZZA

“Non c’è bisogno di capire, basta ascoltare”.

Per gli amanti di De Oliveira è festa una volta all’anno (se non due), e in particolare per i fans di Vale Abraão e delle vigne del Douro, O princípio da incerteza è un orgasmo continuo, ché quest’ultima saga familiare, ancora concepita da Agustina Bessa Luis, è una specie di parte seconda, dieci anni dopo, di quel sommo capolavoro: con sottili slittamenti (la zoppia si è trasferita da Ema a Antonio; se Ema aggiornava Madame Bovary, Camila si rifà a Giovanna D’Arco), e un continuo dialogo con gli altri tasselli del canone di Manoel. Per chi pensava che potesse ormai solo concepire opere testamentarie (come a diverso titolo erano Palavra e utopia, Retour a la maison, Porto da minha infancia), il decano del cinema lusitano si rituffa al centro della propria ispirazione, caricato di un’energia creativa inesauribile dai troppi film non fatti in gioventù. Se Vale Abraão era uno strano paradiso cullato da sognanti interludi di piano, questo è uno strano inferno custodito dai diabolici capricci di Paganini; se quello si dipanava come un paradossale melodramma, questo suo doppio oscuro è una sorta di feuilleton filosofico, un labirinto di metafore che a tratti può rimembrare Eyes Wide Shut, ma con un sottofondo di ironia incomparabile con le senili elucubrazioni kubrickiane; entrambi, d’altronde, scanditi da continue feste, cene, cerimonie. Il segreto dell’ennesimo gioiello nell’infinita collana di perle deoliveiriana sta nel solco aperto tra le due Leonor, icone scisse di opposte e coincidenti femminilità. Camila (L. Baldaque), madonna dell’ambiguità (ricreante la Madonna della seggiola di Raffaello) che parla con gli alberi, angelo e strega, schermo opaco caricato di significati dagli altri è l’ultimo ritratto nella galleria di eroine disincarnate e iperconsapevoli, ciniche e pure, materialiste e inafferrabili di De Oliveira. Vanessa (L. Silveira) è invece un amabile diavolo in cui l’innocenza e il peccato convivono naturalmente, come nella Suzy di Inquietude. Il devastante campo gravitazionale che si crea quando nell’inquadratura convivono le due Leonor porta all’incandescenza le strutture formali del regista portoghese, basate su traiettorie ellittiche, olimpiche elisioni, vertiginosi raccordi sull’immobilità. Come dimostra il paragone tra la schiena di Camila e il marmo, del resto, De Oliveira è un Ophüls in cui il fuoco del movimento si è cristallizzato in gelo perpetuo. Quanto all’intreccio genetico che guiderà volontà e destini, è dipanato nella scena iniziale, definitiva come una dichiarazione d’intenti, coi due saggi che commentano osservando lo scorrere sempre uguale e diverso del fiume sotto di loro. In nuce c’è già tutto: il senso del tempo fuori del tempo, le scoppiettanti schermaglie dialettiche in cui il regista riversa la sua ironica visione dei giorni d’oggi (“i missili e le esplosioni ora in voga hanno influenzato il tempo”), il miracolo dello sguardo di Manoel che si rigenera nel proprio perpetuarsi. E per tutto il tempo l’immoto scorrere del Douro, fiume dei vivi e dei morti, sarà guatato da treni, pulman, vetrate, avanti e indietro, come per l’Atlantico di Palavra e utopia, punteggiando la narrazione come le ricorrenti inquadrature dall’alto sul verde e l’ocra dei vigneti. Running to stand still.

[Luglio 2002]

Cast & credits:

O principio da incerteza. Regia: Manoel de Oliveira; sceneggiatura: Manoel de Oliveira dal romanzo di Agustina Bessa Luis; fotografia: Renato Berta; montaggio: Manoel de Oliveira, Catherine Krassovsky; musica: Niccolò Paganini; scenografia: Maria José Branco; interpreti: Leonor Baldaque, Leonor Silveira, Ricardo Trepa, Ivo Canelas, Isabel Ruth, Luís Miguel Cintra, José Manuel Mendes; produzione: Madragoa Filmes; origine: Portogallo 2002; distribuzione: Mikado; durata: 135’.

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