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Il rifugio

Pubblicato il 28 agosto 2010 da Salvatore Salviano Miceli


Il rifugio

Dopo Ricky, Ozon torna ad affrontare il tema della maternità con il suo Le refuge, ancora una volta coprodotto e distribuito dalla nostrab Teodora Film. Messa in scena, pathos e ritmo sono completamente differenti dalla pellicola precedente. In Le refuge, che segna l’incontro del regista con il digitale (scelta dettata in primo luogo dalla necessità di terminare le riprese prima del parto dell’attrice protagonista), l’HD ricopre un ruolo fondamentale. L’uso di focali lunghe ne contrasta la tipica piattezza, garantendo un degno supporto visivo alla delicatezza di certe inquadrature (soprattutto dei primi piani sporchi) che Ozon dedica ai suoi protagonisti, e aiutando il regista nella ricerca di una luce quanto più possibile naturale, in grado di catturare il calore e le tonalità di albe, notti, tramonti.
C’è poco di banale nella maternità raccontata dall’autore francese. C’è la lotta di una giovane donna per appropriarsi del ruolo di madre che le è, inconsapevolmente, toccato. C’è il processo di guarigione dalla tossicodipendenza e dal ricordo di una morte che non vuole andare via. C’è, infine, l’incontro tra due personalità diverse, eppure accomunate da un profondo senso di solitudine ed inadeguatezza, custodi di una capacità di amare che ognuno esprime e manifesta in modo assai differente.
La crudezza delle sequenze iniziali (definire realistiche le immagini inerenti la droga e i segni dell’eroina è un eufemismo) lascia ben presto il posto ad un racconto che non preme mai sull’acceleratore, fatto di piccoli dettagli che unendosi conferiscono corpo e senso alla storia. Lo stesso regista chiarisce con le sue parole la volontà di affrontare non la maternità nella sua accezione più serena, ma di puntare il suo sguardo sul percorso che qualsiasi donna deve compiere per sentirsi madre, indipendentemente dal sopraggiungere della gravidanza. Ed il percorso affrontato dalla giovane protagonista, come ricordato, non è semplice. Al contrario, si scontra con un dolore che proviene dal passato e con una insicurezza che, comunque, la condurrà alla scelta finale, dolorosa ma inevitabile, necessaria nella sua semplicità.
Colpisce l’eleganza del racconto portato sullo schermo da Ozon, la sua assenza di retorica nonostante qualche concessione, probabilmente indispensabile, al drammatico. Le ombre, che pure dipingono l’epilogo, lasciano una qualche speranza, la traccia di una maturazione che, seppur non ancora compiuta, procede verso la sua più felice evoluzione. È, nel suo intimo, un racconto d’amore Le refuge. Un amore che non prevede identità sessuale, che non giudica, che, semplicemente, colpisce e sconvolge senza prima lasciare scorgere tracce del suo arrivo. Ogni passaggio si compie nel film con estrema naturalezza, quasi fosse aspettato e impossibile da evitare. La scelta degli interpreti rispecchia l’attenzione per i volti dell’autore francese. Tanto la giovane protagonista (Isabelle Carré), quanto Louis-Ronan Choisy (cantante di professione) garantiscono fragilità e spontaneità ai loro personaggi. Caratteristiche, queste, basilari per il compimento di quella strada che dalla verginità, di scelte e di identità, conduce alla consapevolezza.
Prova positiva per il regista francese, dunque, con un film che più del precedente (comunque assai piaciuto alla critica) può incontrare il favore del pubblico. Un ottimo inizio per questa edizione del Torino Film Festival.


CAST & CREDITS

(Le refuge) Regia: Francois Ozon; sceneggiatura: Francois Ozon, Mathieu Hippeau; fotografia: Mathias Raaflaub; montaggio: Muriel Breton; suono: Brigitte Talliandier; scenografia: Katia Wyszkop; interpreti: Isabelle Carré (Mousse), Louis-Ronan Choisy (Paul), Pierre Louis-Calixte (Serge) Melvil Poupad (Louis); produzione: Teodora Film, Eurowide Film Production, FOZ ; distribuzione: Teodora Film; origine: Francia / Italia; durata: ‘90;


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