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Il Ritorno di Mary Poppins

Pubblicato il 20 dicembre 2018 da Veronica Flora
VOTO:


Il Ritorno di Mary Poppins

Crescere figli con il metodo Mary Poppins? Significa condannarli a un destino di povertà e frustrazione. Quello che vivono nel loro quotidiano, con più o meno spirito di rassegnazione, idealisti (la Jane Banks di Emily Mortimer) e aspiranti artisti (il Michael Banks di Ben Whishaw). Per loro, l’unico modo di sperare di sopravvivere è ritrovare l’eredità (in azioni bancarie) del padre, sempre che l’animo gentile che in fondo albergava nei cuori dei banchieri del 1910 riesca a riprendere le redini dell’Istituto simbolo per eccellenza del potere economico, sottraendolo al controllo della progenie filibustiera che l’ha condotto dritto (ma non è servita che una leggera accelerata finale) alla crisi del ’29.
Questo sembrerebbe raccontarci a un primo sguardo l’ultimo film della Disney, dedicato al ritorno del personaggio femminile in carne, ossa e ombrello più famoso della storia del cinema.
Un vero e proprio fallimento educativo per tata Poppins (ma è solo questione di punti di vista).
La Disney non ce la fa proprio, nemmeno a fronte dell’ineludibile, e cercato, parallelo con la crisi finanziaria statunitense degli anni ’90 e quella immobiliare dei subprime nei 2000, a spingersi verso una qualche forma di condanna di un sistema capace di succhiarsi i due penny di un bambino, con la promessa di restituirglieli, anni dopo, con il frutto degli interessi (e il punto non è che ciò accada poi concretamente o no).
I vecchi banchieri saranno pure storditi e ridicoli ma lucidi abbastanza da non rischiare mai di farsi sfuggire un correntista, come racconta la vecchia favola, con un sarcasmo che comunque, nel finale, assolve.
Tutto rientra anche ne Il Ritorno di Mary Poppins, come nell’originale del ’64, in una visione di familismo (a) morale da dipendenza dalle banche. E’ lì che finiscono i risparmi per la signora dei piccioni, da lì dovrà tornare magicamente ai Banks la loro fortuna. In tempi di disaffezione globale al sistema, un’assist non da poco.
In questa versione firmata da un autore specializzato in mimesi e reincarnazione cinematografica (dal Giappone di Memorie di una geisha al Fellini di Nine, al mash up favolistico di In to the woods), non c’è reale cambiamento di prospettiva rispetto alla visione originaria. Nonostante il mezzo secolo di distanza tra le due realizzazioni, e il ventennio che separa le epoche di ambientazione, a Marshal basta una semplice sostituzione dei fondali e qualche lieve modifica alla globale linearità (vincente, da un punto di vista di mero intrattenimento, adesso come allora) della struttura della storia.
La tensione a ricomporre, in un’ottica famigliare, un puzzle drammaticamente frantumato (lutti, depressioni - personali e sociali - sfratti ecc.) resta invece la costante di una narrazione disneyana in cui si ribadisce continuamente la necessità di abbandonarsi a un microcosmo che in qualche modo, anche attraverso appendici immaginarie cadute dal cielo, preservi e salvi dal decadimento sociale.
La banca vuole pignorarti la casa e quella sciroccata di tua sorella è un’attivista dei diritti civili? Meglio trattare con la banca stessa, con l’aiuto di una baby-sitter a nero.
Scherzi a parte, qualcosa di buono c’è.
Al di là della canzoncine lontane anni luce dal poter emulare l’incanto di basta un poco di zucchero, supercalifragilistichespiralidoso e cam caminì, bisogna apprezzare che la Mary Poppins di Emily Blunt è consapevole che la sua versione non avrebbe potuto essere che un’ombra, un’immagine riflessa, sempre due passi indietro rispetto al personaggio a cui diede vita Julie Andrews. Tale consapevolezza la fa essere perfetta nel suo essere visibile ma paradossalmente come assente nella visione cinematografica.
La Blunt, nonostante i vistosi cambi d’abito, è una sfinge digitale lucente e imperturbabile, priva del tepore altero e dell’algida dolcezza della Andrews. Non le si vuole male, anzi! sa essere assente con discrezione e stile.
Sono invece i piccoli Banks la vera presenza scenica del film, bimbi già adulti sono i figli di quest’epoca, come Greta alla Cop24. Sanno che saranno loro a dover aiutare i padri perduti - che ancora non sanno cosa vogliono o potranno essere, né i danni che stanno facendo - con maggior saggezza e senso di responsabilità sentimentale di quello che meriterebbero di avere alla loro età.
Dalla loro tensione a proteggere l’altro e solidarizzare tra di loro per far fronte a un mondo di grandi, reali o immaginari, bislacchi, aggressivi o fuori di testa che siano, scaturisce la scintilla che salva il film.
E sì, quello di Mary Poppins sembrerebbe un vero e proprio fallimento educativo, se non fosse per la grazia dei figli che i bimbi di un tempo, ora cresciuti, hanno messo al mondo. Se non fosse per la promessa di riscatto che viene dalle generazioni successive a quegli adulti umani e fragili che furono a loro volta bimbi salvati, o meglio sopravvissuti, grazie all’immaginazione.


CAST & CREDITS

(Il Ritorno di Mary Poppins); Regia: Rob Marshall; interpreti: Emily Blunt, Meryl Streep, Lin-Manuel Miranda, Ben Whishaw, Emily Mortimer, Colin Firth, Dick Van Dyke, Serena Rossi, Angela Lansbury, Julie Walters, Jeremy Swift; origine: USA; durata: (esempio) 130’; webinfo: Sito Ufficiale


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