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Il sangue dei vinti

Pubblicato il 7 maggio 2009 da Donato Guida


Il sangue dei vinti

Che dire di questo film presentato in anteprima (fuori concorso) al Festival di Roma: prima di tutto bisognerebbe parlare del regista. Michele Soavi, classe 1957, un passato trascorso barcamenandosi tra buoni horror stile argentiano, alcune apprezzabili fictions televisive e spot pubblicitari. Nel 2006 un exploit che lo porta a ricevere positive critiche: Arrivederci amore, ciao, sceneggiato dal bravo Marco Colli e tratto dall’omonimo romanzo di Massimo Carlotto, il film (interpretato da Alessio Boni, Michele Placido e Isabella Ferrari), è un duro noir ben girato, costruito e recitato.
Tutt’altro si può dire dell’ultima fatica del regista milanese, tratto dall’omonimo romanzo di Giampaolo Pansa che ha fatto tanto parlare di sé (più in maniera positiva che negativa); il film risulta essere un pasticcio irrisolto di stili e temi diversi. Soavi cede al gusto horror dei suoi lavori passati: sangue e morti violente, buchi di sceneggiatura e personaggi e recitazioni superficiali che fanno eco alle peggiori fictions televisive. La storia narrata è quella della famiglia Dogliani e delle incongruenze che nascono in essa in un periodo storico ben revisionato dallo scrittore Pansa, ma mal interpretato dal regista Soavi. Il protagonista (un Michele Placido al di sotto della sua famosa vena attoriale) rivive in flashback gli anni della Seconda Guerra Mondiale, vissuta come funzionario di polizia e in bilico in una famiglia che, tra fratello (partigiano) e sorella (repubblichina), vive in pieno i grandi paradossi del conflitto bellico: su tutti e tre i fratelli cala la piccolissima ombra dei genitori che, tra stati d’animo diversi, risultano essere un punto molto debole di una famiglia che cade precipitosamente verso il baratro. A questo punto si potrebbe pensare che il film, in stile Giordana de La meglio gioventù, sia incentrato interamente sulla famiglia Dogliani, immersa nei cambiamenti di uno dei periodi storici più difficili vissuti dall’Italia; invece no, a gettare benzina sul fuoco ci pensa una sorta di storia nella storia vissuta sempre dal protagonista che indaga sulla morte di una prostituta ritrovata in una casa di San Lorenzo: l’unica testimone dell’omicidio risulta essere la piccola figlia dell’assassinata che l’ufficiale di polizia decide di portare con sé in caserma per farla “testimoniare”; da qui sembra nascere un altro film, una sorta di poliziesco molto superficiale che tutto fa meno che interessare il pubblico e tenerlo col fiato sospeso. Intanto prosegue la storia della famiglia Dogliani e, dopo varie morti violente (tra cui il suicidio dei due genitori del protagonista), si arriva all’inevitabile scontro finale tra i partigiani (capeggiati dal giovane fratello del protagonista) e i repubblichini (tra le cui fila c’è la sorella, sempre più infuocata dalla rabbia per la morte del marito, avvenuta sotto i bombardamenti americani). Alla fine, la morte prevale su qualsiasi sentimento, compreso la fratellanza, e tutti sono dei vinti, dinanzi allo sconforto del non parteggiante Franco Dogliani che, dopo trent’anni (e dopo aver nuovamente incontrato la bambina che è divenuta una professoressa universitaria), continua con la sua ricerca dell’omicida della donna.
Questa in breve la storia di un’opera che, al di là del buon cast tecnico-artistico, non è riuscita nelle intenzioni che (forse) si era preposta. Tante falle nella narrazione e, come detto, una recitazione che lascia sconforto negli spettatori del Festival che, sicuramente, hanno delle aspettative diverse rispetto ai fedelissimi delle fictions. Troppe cose mancano nel film e troppe altre non sono chiare: ad esempio, la psicologia dei personaggi, partigiano da una parte e repubblichina dall’altra. La costruzione di Soavi sembra portare a delle persone che combattono esclusivamente per il gusto d’ammazzare.
Un’opera, questa, che non riesce a dare nessuna emozione allo spettatore se non quella di rabbia e delusione (più che verso il film stesso, verso le persone che hanno permesso la visione di quest’opera durante un Festival importante, com’è quello di Roma). C’è una frase all’inizio del film, recitata da Placido dopo aver assistito al bombardamento di San Lorenzo, che dice più o meno questo: “Le persone uscite dalle case non riuscivano ad esprimere nulla, perché dopo un tragico ed inaspettato evento il cervello rifiuta di credere”. Questo dev’essere capitato anche agli spettatori in sala, dopo aver assistito a scene terribili sotto un profilo tecnico-artistico: la più atroce è senza dubbio quella della sequenza che vede lo scontro tra i partigiani e i repubblichini (questi ultimi chiusi in una scuola); un mitragliata dei partigiani viene evitata da un repubblichino che lascia colpire una cartina dell’Italia appesa al muro: a causa dei colpi la cartina si divide a metà, tagliando di netto la penisola. Un banale simbolismo di cui molti amanti di buon cinema avrebbero fatto volentieri a meno.
Alla proiezione in sala erano presenti: il regista, gli attori gli sceneggiatori, il produttore e l’autore del romanzo da cui è tratto il film. Dopo un’ora dall’inizio dell’opera un quarto della sala si è svuotata e, alla fine del film, (dispiace a dirlo) giustamente i fischi hanno coperto i poveri e miseri applausi. Stranamente (?) i fischi arrivavano dalle gallerie, mentre a battere le mani erano i pochi seduti a breve distanza dal cast artistico del film in questione.
Anche questo è Festival.


CAST & CREDITS

(Il sangue dei vinti); Regia: Michele Soavi; sceneggiatura: Dardano Sacchetti, Massimo Sebastiani; fotografia: Gianni Mammolotti; montaggio: Anna Napoli; musica: Carlo Siliotto; interpreti: Michele Placido, Barbora Bobulova, Giovanna Ralli, Alessandro Preziosi, Stefano Dionisi, Philippe Leroy, Alina Nedelea, Daniela Giordano, Ana Caterina Morariu produzione: Media One Entertainment in collaborazione con Rai Fiction; origine: Italia, 2008; durata: 110’


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