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Il signor diavolo

Pubblicato il 24 agosto 2019 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Il signor diavolo

Il morso del diavolo

Superstizione o verità. Paura del diverso. E cattiveria. Molta.
Pupi Avati torna a dedicarsi all’horror, al suo modo di concepire e mostrare il terrore, in quel filone chiamato "gotico padano", in cui si collocano i lungometraggi "neri" del regista de La casa dalle finestre che ridono, Zeder, Il nascondiglio e L’arcano incantatore.

Anche stavolta, con Il signor diavolo - tratto dall’omonimo romanzo scritto di suo pugno -, Avati rievoca quelle atmosfere lugubri e palustri del nord Italia in cui si immerge per portare a galla i liquami, il grigiore e la meschina ignoranza di un’Italia dei primissimi anni Cinquanta, in cui si nasconde a cielo aperto quella Democrazia Cristiana impaurita da un caso di omocidio, che potrebbe rivelarsi nocivo per le future elezioni; il giovane ispettore del Ministero della Giustizia, Furio Momenté (un Gabriel Lo Giudice dal volto scarno e inquieto) viene spedito di corsa a Lio Piccolo – un paesino veneto "fuori dal mondo" – per mettere a tacere le storielle sinistre intorno la figura di Emilio (Lorenzo Salvatori), un ragazzo deforme che pare abbia ucciso a morsi la sorellina neonata ma, più che concentrarsi su Emilio, Momenté dovrà mettere a tacere le velenose voci sull’assassinio dello stesso Emilio, a opera di Carlo (un emaciato Filippo Franchini), sicuro di aver ucciso non un suo quasi coetaneo, ma il diavolo in persona.

In un abisso di toni grigi e colori slavati, Pupi Avati discende le profondità delle credenze popolari, delle chiese abitate da fedeli ambigui, scandagliando gli effetti di plagio che queste imprimono nelle menti e nei cuori di una popolazione ancora legata a usanze ancestrali. Il signor diavolo è un horror d’atmosfera, più che di espedienti orrorifici: di sangue ne scorre poco, perché sono le apparenze che contano davvero, le deformità e il senso di disgusto che il solo pensiero nell’associare un individuo lontano dai canoni della società – seppur retrograda nell’applicazione di vita quotidiana, che nella concezione dei valori sociali – incidono nel trasformare in macabro un qualcosa che, in realtà, non lo è o non dovrebbe esserlo.

Ne Il signor diavolo, l’orrore è subordinato al volere degli uomini e questo coincide con il vitale punto di vista di Avati, che mette tutti i protagonisti in gioco sullo stesso piatto della bilancia: sia i cinici funzionari legati alla DC, sia i fasulli uomini di chiesa, che l’enigmatica madre di Emilio (una funerea Chiara Caselli, straripante nel suo ruolo di donna arcana e perennemente affranta dal dolore per la perdita dei suoi due figli), seguiti dei personaggi appartenenti al popolo – volgari perché sottomessi dalle paure legate a effimere superstizioni – sono, in realtà, individui malsani, figli di un mondo troppo criptico e retrogrado, come l’Italia ermetica di quegli anni. Compreso il protagonista Momenté, inetto e sconfitto, destinato all’umiliazione per aver pensato di essere più forte del "credo della menzogna".

Così, Il signor diavolo gioca con innegabile malizia su due fronti, mantenendosi caparbiamente in equilibrio tra una messa in scena dell’orrore così come viene concepito dai personaggi in gioco – costruito per spaventare lo spettatore – e una stoica ricerca della verità, fagocitata dalla detection stessa, di cui se ne prende carico il redivivo Momenté, dopo essere stato scaricato dallo stesso Ministero di Giustizia.

Avati non ci lascia quasi mai flirtare con la verità, perché tutto ciò che mette in mostra pare avvalorato dalle scelte e dal contesto degli stessi personaggi in gioco: chi ha, dunque, ragione d’esistere, la superstizione o l’inganno? Il diavolo o le sciagure figlie del caos? Il potere (nella) della fede, o la brutale cecità di fronte all’ovvio? E con un finale così nefasto, Avati sembra avvertirci del male innato nell’animo umano, che non risparmia né adulti, né bambini e non si fa scrupoli verso niente e nessuno.

Opera mortifera e concepita per annebbiare i sensi dello spettatore, Il signor diavolo non è solo un tentativo ben riuscito di ritorno alle origini da parte di Pupi Avati, ma anche la confessione dello stesso regista di non poter fare a meno di quel (suo) cinema nero che ha contribuito a modellarne la fama.


CAST & CREDITS

(Il signor diavolo); Regia: Pupi Avati; sceneggiatura: Pupi Avati, Antonio Avati, Tommaso Avati; fotografia: Cesare Bastelli; montaggio: Ivan Zuccon; interpreti: Gabriel Lo Giudice, Filippo Franchini, Massimo Bonetti, Lorenzo Salvatori, Alessandro Haber, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Eva Antonia Grimaldi, Chiara Caselli, Andrea Roncato, Fabio Ferrari, Ariel Serra, Riccardo Claut; produzione: DueA Film, Rai Cinema; distribuzione: 01 Distribution; origine: Italia, 2019; durata: (esempio) 86’


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