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Il Sole Nero

Pubblicato il 15 giugno 2007 da Alessia Spagnoli


Il Sole Nero

Sfiora perfino lo stucchevole, l’ingresso nel film: movimenti di macchina avvolgenti, fotografia che trasuda eleganza, due protagonisti che amoreggiamo in pieno sole, dimentichi del mondo fuori dal loro Eden ad uso e consumo personale. Le noti gravi della partitura per pianoforte (composta dall’illustre Wojciech Kilar) preparano però alla minaccia di catastrofe incombente sulla coppia di amanti.
Mentre i due vivono il loro momento magico di idillio perfetto, ostentando la propria imperturbabile felicità anche agli occhi ‘feriti’ di chi è meno fortunato, per qualcun altro l’esistenza è divenuta un protratto incubo senza possibilità d’evasione. Ecco il primo torto del plot del film (difetti imputabili però direttamente all’opera teatrale Agata di Rocco Familiari, da cui il film è tratto): che ne è delle motivazioni di questo assassino? Certo, un omicida non ha ragioni da avanzare, si obietterà: sacrosanto. Ma quel far cenno solo vagamente alla precedente esistenza benedetta dalla musica, di questo violinista arrabbiato, limitandosi a descriverlo come un ‘angelo decaduto’, finisce davvero col tarpare le ali a quello che avrebbe potuto crescere come personaggio ben altrimenti complesso e stimolante (nonostante la notevole bravura del suo interprete, Kaspar Capparoni). Salvo è un ‘senza Dio’, un nichilista che non ha più nulla da perdere e spara alla cieca (letteralmente): ‘La colpa è sua. Perché non c’è’, ringhia al fratello minore, puntando l’archetto del suo violino verso l’alto: epperò lo fa nel chiuso del suo stanzino-prigione, indicando in tal modo il soffitto, piuttosto che il cielo. Le uniche spiegazioni della sceneggiatura, che si dilunga eccessivamente in altre parti, per questo personaggio, riguardano la cattiveria che la malattia, spesso, reca con sé e che hanno finito per prevalere nell’animo di un giovane che intuiamo esser stato sensibile un tempo.
Salvo avrebbe potuto addirittura accedere allo status di carattere dostoevskijano: non ci pare arbitrario tirare in ballo un autore altrettanto avvinto da un sentimento religioso che tutto piega e tutto avvince, nella sua logica stringente: i personaggi in scena incarnano tutti, dostoevskijanamente appunto, un’idea fissa, un sentimento dominante, un valore assoluto da portare avanti a prezzo di indicibili sofferenze, in uno scontro col mondo dagli esiti invariabilmente devastanti.

Esiste il Male, perché esiste il Bene: questa è la tesi finale, esposta dal film di Zanussi. Ma vorremmo poter condividere con l’autore polacco la fede che ne sottende la visione. E che avrebbe permesso, forse, di non trovare francamente detestabili personaggi come quelli femminili, particolarmente l’irritante ‘coro di donne in lutto’, come pure quell’investigatore incaricato di far luce sull’omicidio di Manfredi (e che pronuncia, con fare cinico, le sue sentenze assolute assai poco coerentemente con il significato dei concetti che va esprimendo, buttandole lì senza dare l’impressione di crederci poi molto).
Ogni cosa contiene il suo contrario, dunque: bene e male, vita e morte, amore e odio, luce e ombra, perdono e castigo. Anche fisicamente, i due protagonisti maschili, sono l’uno il positivo (o negativo) dell’altro: entrambi vengono più volte equiparati ad angeli. I freddi azzurri e i caldi marroni si dividono equamente la scena, come negli ipnotici occhi e nei capelli di Agata. La stessa Agata, partecipa ai funerali del marito indossando contemporaneamente sia il suo abito da sposa che un ampio manto nero, ad indicare il lutto che l’ha colpita. Ombre e luci si diffondono perfino sul volto della Golino, che si presta coraggiosamente, anima e corpo, al difficile personaggio cui aderisce totalmente: la sua prova trasmette verità assoluta ed è di gran lunga il tratto migliore – e il più commovente, in un film che spinge, a volte, sul pedale del lacrimevole – della pellicola. Alla fine, rimane soprattutto la sua magnifica interpretazione, a coprire difetti vari (alcune ingenuità di troppo si segnalano nel reparto trucco): impegnata in un ruolo ricco di sfumature, l’attrice attraversa il film passando con una facilità disarmante da una gamma di emozioni all’opposta, rievocando le ultime, dolenti prove della luminosa Romy Schneider.

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CAST & CREDITS

(Black Sun) Regia: Krzysztof Zanussi; soggetto: Rocco Familiari, dalla sua opera teatrale Agata; sceneggiatura: Rocco Familiari e Krzysztof Zanussi; fotografia: Ennio Guarnieri; montaggio: Paola Freddi; musiche: Wojciech Kilar; scenografie: Alfonso Rastelli; costumi: Sandra Cardini; interpreti: Valeria Golino (Agata), Kaspar Capparoni (Salvo), Lorenzo Balducci (Manfredi), Toni Bertorelli (ispettore), Victoria Zinny (Filippa); produzione: EDELWEISS PRODUCTION, SBS-UGC (PARIGI); distribuzione: Mikado; origine: Francia/Italia 2007; durata: 104’


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