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Il talento del calabrone

Pubblicato il 22 dicembre 2020 da Matteo Galli
VOTO:


Il talento del calabrone

Capita di domandarsi di questi tempi se certi film uno sarebbe andato a vederli al cinema. Ma visto che, purtroppo, al cinema in questo triste autunno 2020 non c’è nulla, e anche i festival sono totalmente in crisi (di recente la notizia che quest’anno la Berlinale si svolgerà per metà in streaming a marzo e per metà, a Dio piacendo, a giugno/luglio nelle arene all’aperto), accade che uno vada in cerca di film nuovi, usciti direttamente in piattaforme e scopra cose che forse, se tutto fosse stato normale, non avrebbe visto, per mancanza di tempo o se vogliamo anche per un certo snobismo nei confronti dei numerosi, troppi film italiani che annualmente vengono prodotti. ‘Sta palla di pandemia avrà pur qualche vantaggio, o no?

L’opera prima del quarantatreenne Giacomo Cimini rientra nella categoria di film che forse uno avrebbe omesso di andarsi a guardare e che da qualche settimana gira su Amazon Prime. Pur con qualche vistoso difetto, Il talento del calabrone è al tempo stesso un film di genere e di qualità, non tanto nel senso che è un film di genere fatto bene, ma è, invece, un film di genere e al contempo un film che ha l’ambizione di toccare dinamiche socio-psicologiche di rilievo, un’ambizione che di solito è appunto riservata ai film di qualità, ai film di autore. La prima parte si concentra di più sul primo aspetto: un presunto pazzo (Sergio Castellitto in una delle sue migliori interpretazioni), che dispone di un sensazionale know how tecnologico, tiene sotto scacco una radio privata, anzi la star della radio privata il DJ Steph, interpretato da Lorenzo Richelmy, dettandogli la scaletta dei pezzi musicali con la minaccia che se il DJ si ribella lui si farà saltare in aria e compirà una strage di non meglio precisate dimensioni.

La scaletta musicale è totalmente disallineata rispetto alle canzoni che la radio è solita trasmettere: si tratta di pezzi di musica classica, di cui Carlo (così si chiama il presunto pazzo) chiede anche specifiche esecuzioni, innervosendosi alquanto laddove, come accade una volta, la scelta finisce per ricadere su una diversa versione. Già qui peraltro potremmo individuare un tema forte, ovvero una polemica adorniana sulla cultura del consumo che nella sua versione odierna vive di likes e di follower, ma la polemica è qui soltanto funzionale alla lenta enucleazione del conflitto di fondo. I pezzi sono punteggiati da un dialogo serrato fra i due, in cui il DJ, costantemente in contatto con il regista del programma e ben presto anche con un tenente colonnello che sopraggiunge nella sede della radio, oscilla fra atteggiamenti diversi: lo blandisce, lo insulta, si arrabbia.

In questa prima fase il film presenta solo un grande difetto che è appunto la figura del tenente colonnello, anzi della tenente colonnello, Rosa, interpretata da Anna Foglietta, che arriva nel grattacielo della radio in abito da sera rosso fuoco (è reduce da un vernissage) e tacco alto, e giusto per darsi una credibilità di ruolo si toglie i tacchi, si mette gli anfibi e si infila a tracolla una pistola, ma resta in abito rosso con spalline, mah, suvvia, non ci siamo, come anche la recitazione della Foglietta non si può dire che sia granché. In questa fase il film si regge dunque su una triangolazione drammaturgica, in cui Carlo (le cui origini vengono immediatamente scoperte dai servizi di sicurezza, di un’efficienza spaventosa, anch’essa non esattamente credibile) risulta di gran lunga la figura più riuscita e convincente, a fronte delle turbolenze e dei conflitti un po’ standardizzati fra Steph e Rosa.

Poi nella seconda parte il film diventa assai più complesso, quasi d’autore, come si diceva per i temi che tratta. Si giunge a capire perché Carlo (normalista ed ex professore di fisica, poi dimissionario e sparito all’improvviso di circolazione, sembrerebbe quasi una specie di Federico Caffè) abbia ideato tutto ciò, perché proprio la radio sia stata presa di mira, perché proprio il DJ Steph è diventato la sua controparte, il suo deuteragonista. Le ragioni, forse a un certo punto intuibili, non possiamo rivelarle per ovvi motivi, ma sono ragioni molto forti che sostanziano il film sul piano psicologico e anche su quello sociale, dando uno spessore tragico e straziante alla scelta di Carlo, diciamo solo che c’è di mezzo una delle questioni più socialmente rilevanti per l’adolescenza, ossia il bullismo e c’è un tema chiave dell’educazione dei bambini e degli adolescenti, ossia il ruolo superegoico dei genitori.

E ciò che inoltre rende di particolare interesse la parte finale è anche una, questa sì in larga parte inattesa, riflessione metacinematografica sulla finzione, quando scopriamo dove si trovava il protagonista mentre teneva in scacco la radio, gli ascoltatori e i milioni di follower. Metacinematografica perché lo stesso film che stiamo finendo di vedere è tutto finzione, sul piano della messa in scena, si svolge a Milano, ma è una Milano tutta fatta di blue screen, tutta girata in uno studio di Roma.


CAST & CREDITS

Il talento del calabrone - Regia: Giacomo Cimini sceneggiatura: Giacomo Cimini, Lorenzo Collalti; fotografia: Maurizio Calvesi; montaggio: Massimo Quaglia; interpreti: Sergio Castellitto (Carlo De Mattei), Lorenzo Richelmy (DJ Steph), Anna Foglietta (Rosa Amedei); produzione: Paco Cinematografica, Eagle Pictures, Atica Cuarzo Innova origine: Italia, Spagna 2020; durata: 93’.


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