X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Il Talk-Show della Realtà nell’era del Reality-Show

Pubblicato il 4 aprile 2007 da Alessia Spagnoli


Il Talk-Show della Realtà nell'era del Reality-Show

Durante l’ultima puntata della trasmissione Anno Zero è andato in onda l’impensabile. Qualcosa di talmente lontano da quanto passa quotidianamente lo ‘strambo convento’ della tv, da far gridare quasi al miracolo. Anche se, a ripensarci in seguito, il terremoto non è stato provocato da una qualche idea geniale, ‘solo’, se così si può dire, dalla ferma volontà di infischiarsene delle regole non scritte preposte all’esistenza stessa del piccolo schermo.
Viene in mente, in proposito, una dichiarazione illuminante resa dal mai banale Jean-Luc Godard, interrogato sul presunto valore del nascente medium televisivo. Il cineasta francese rispondeva quanto mai sensatamente che ‘La tv non è buona o cattiva, di per sé. E’ come un rubinetto: se ci versi dell’acqua pura, filtrerà quella. Ma se immetti veleno, arriverà quest’ultimo, invece’. Lapalissiano. La televisione è solo un mezzo e la sua qualità dipende dall’uso che se ne fa. Ma si corre forse il rischio di dimenticarsene, di questi tempi, così poco sensati. Tempi in cui non rimane praticamente più nulla per placare la sete d’informazione (men che meno rivolgendosi ai tg!) di uno spettatore ‘mediamente dotato’, che ormai, preferisce senz’altro rivolgersi alla Rete e al contro-potere di Internet.
Le ultime stagioni di fiction hanno propinato biografie di personaggi (già santi o in odore di santità), spacciandole subdolamente per prodotti culturali di spessore inenarrabile. Si pensi, all’opposto, al caso emblematico Superquark, programma ormai in pericolo di ‘estinzione’: le uniche puntate che la rete ammiraglia della Rai ha pensato di poter elargire, come una sorta di contentino, ad uno dei suoi più valenti collaboratori, Piero Angela, sono state le biografie di grandi personaggi storici (‘non sia mai che il pubblico delle fiction gradisca’, avrà pensato qualcuno ai piani alti). Ma il format del contenitore di divulgazione scientifica ha fallito tristemente: il pubblico ha rifiutato l’acculturazione ‘forzata’ e si è allontanato verso lidi più spensierati, mentre il più noto fra i programmi educativi finiva esiliato verso la terza rete.
I film, dal canto loro, sono ormai stati fatti sparire dalla circolazione e qualora si decida di cavalcare l’onda di alcuni sparuti successi cinematografici, si assiste a veri e propri scempi. Si pensi alla messa in onda sminuzzata, in piccole quasi, della saga di Tolkien, che abbisognerebbe di una maratona, piuttosto. Questo per non domandare troppo alla già scarsa capacità di concentrazione dei bimbi: ma quando mai è stato stabilito che i film di Jackson sarebbero appannaggio dei più piccini? Ma anche loro, i piccoli teledipendenti, potrebbero un giorno sbottare nel celebre anatema di Bart Simpson: ‘Dannata tv! Hai ucciso la mia capacità di concentrazione!’
Probabilmente, però si è rasentato il fondo in occasione della prima messa in onda della magnifica pellicola eastwoodiana Million Dollar Baby, continuamente infestata da interruzioni pubblicitarie, in cui Bruno Vespa interveniva puntualmente preannunciando spoiler al malcapitato spettatore ignaro degli sviluppi successivi della trama. Il forte messaggio del film veniva infine edulcorato dal contro talk-show di Porta a Porta, incaricato di tornare ad anestetizzare le menti, semmai alcuni nodi delicati dell’opera avessero attivato per un attimo qualche neurone. Era l’8 marzo e la protagonista di quel film era, tra l’altro, una giovane donna come ne esistono milioni al mondo, ma come non capita mai di vedere sugli schermi televisivi, ribattezzati - e non solo ultimamente - ‘Vallettopoli’. Con buona pace del becero format di ultima (?) generazione, dal titolo-beffa Donne, che suona come un’offesa già dal nome nei confronti dell’intelligenza del pubblico e di quello femminile in particolare.

Ma, dopo questa lunga sequela di obbrobri, è il caso di tornare a Santoro e al suo Anno Zero. Per la prima volta, a memoria di chi scrive, si è assistito a qualcosa di inedito: uno studio televisivo popolato di donne musulmane, le persone più invisibili delle società di tutto il mondo, ma dalle storie, spesso, tragicamente simili. Donne che vivono da anni in mezzo a noi, nascoste dai loro veli e dalla loro riservatezza, tanto intimamente connessa alle ragioni della paura. Alcune di queste signore forti, tuttavia, trovavano il modo, nel corso della trasmissione, di tirar fuori il loro disagio e di comunicarlo agli uomini della stessa fede religiosa, certo, ma anche a noi spettatori dell’Occidente. Così, la controparte maschile, non era composta, come ovunque nella vita reale (ma, se ciò avviene in tv, ti stupisci, perché all’interno dei suoi confini si è storicamente proceduto a limare le eventuali spigolosità, uniformando i lati più eccentrici per comodità d’argomentazione, per così dire… ) da un blocco monolitico e monopensante di individui. E allora scopri che ci sono ragazzi che credono nell’Islam, ma non che le donne siano creature inferiori per capacità o diritti, come affermano invece, in maniera sconfortante, alcune ragazze intervistate in uno degli eccezionali reportage realizzati dal programma. E scopri pure le incredibili storture della legge, o, ti viene il dubbio, della sua applicazione in alcuni casi particolari. E’ il caso della tragica vicenda personale di Samira, una giovane donna che, in un italiano stentato e nascosta quasi completamente dal velo, ti racconta che ha subito violenze per anni da parte del marito, e che le hanno pure sottratto il figlioletto, perché nessuno le ha offerto un lavoro che le consentisse di mantenerlo. E pensi che tutto questo non sia tollerabile e che non te ne importa nulla, al confronto, di chi vincerà l’edizione numero 7 (?) del Grande Fratello o l’ennesima gara di ballo fra vip (di cui sei costretto a conoscere per filo e per segno anche quello che non vorresti sapere).
Tra partite di calcio combinate, quiz televisivi truccati e scandali e scaldaletti vari, la proposta di Santoro e i suoi instilla un rinascente interesse nelle possibilità di fare informazione pura, diretta e perfino scomoda, quella che confida in un barlume di intelligenza da parte del suo pubblico di riferimento, non più - o non solo – un bambinetto da cullare o da anestetizzare rispetto ai problemi della vita di tutti i giorni.
Ma, di storie come quelle di queste donne, nessuno, neppure il cinema, sembra avere molta voglia di occuparsi. Almeno, fino a giovedì scorso, quando è andato in onda l’incredibile.


Enregistrer au format PDF