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Il viaggio di Arlo

Pubblicato il 26 novembre 2015 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


Il viaggio di Arlo

Quando Kelsey Mann, story supervisor di Il viaggio di Arlo e Monsters university, in occasione della trascorsa Festa del Cinema di Roma illustrò al pubblico in sala in che modo le idee per i lungometraggi Pixar prendessero forma, ammise che tale processo di formazione si basava sul concetto di “what if...”, ovvero “cosa sarebbe successo se...”. Basta appllicare tale concetto a un’idea semplicissima e il gioco è fatto. Perché è proprio così che inizia il viaggio del docile dinosauro Arlo.

Sul pianeta Terra i dinosauri sono gli esseri viventi in cima alla catena alimentare, ma c’è una minaccia che potrebbe porre fine alla loro esistenza: un meteorite sta viaggiando verso la Terra e quando i due collideranno, per i dinosauri sarà la fine. Ma niente pericolo! Andrà a finire che il devastante meteorite mancherà il bersaglio, lasciando i lucertoloni a bivaccare, placidi e incuranti.

Al termine di un prologo tanto breve, quanto impeccabilmente sintetico, la storia (ri)comincia milioni di anni dopo: i dinosauri sono ancora i padroni assoluti del Pianeta, hanno imparato a costruire rudimentali fattorie e a coltivare il raccolto (almeno alcuni di essi, altri si adoperano in diverse mansioni, come l’allevamento di bestiame). Una famigliola di apatosauri vive in pace e armonia: papà Henry è forte e industrioso, mamma Ida gentile e affettuosa, Buck è il primogenito forte e risoluto, Libby la secondogenita astuta e maliziosa e, a concludere il quadretto, Arlo, il più piccolo dei tre fratelli, gracile, timoroso e credulone. Basta poco, però, a spezzare l’armonia bucolica nella quale è immersa la famiglia: per inseguire un ladruncolo di granturco, Henry e Arlo si allontanano dalla fattoria e vengono sorpresi da una tempesta e dalla piena violenta del fiume. Per salvare la vita dell’amato figlioletto, Henry viene travolto da un’impetuosa corrente e muore. Distrutta dal dolore, la famiglia di apatosauri è costretta a stringere i denti per prepararsi in vista dell’inverno ma, un giorno, Arlo si imbatte nuovamente nel ladruncolo di granturco (un piccolo di uomo primitivo di nome Spot, selvaggio e apparentemente indomabile) e nel tentativo di acciuffarlo, cade nel fiume, batte la testa contro un masso, perde conoscenza e viene trasportato via dalla corrente. Quando riaprirà gli occhi, si ritroverà lontano da casa, in un mondo immenso e (per lui) spaventoso, con la sola compagnia di Spot. Inizia, così, il viaggio di Arlo, tra mille pericoli e alla scoperta del mondo, alla ricerca della strada verso casa.

Ed è proprio da qui che inizia a tutti gli effetti il film diretto da Peter Sohn, perché come si evince dal titolo stesso (che per una volta rende decisamente meglio in italiano che in lingua originale), il cuore dell’ennesimo capolavoro targato Pixar, sta nel mezzo, nel viaggio di Arlo: l’ambientazione preistorica, la tragedia che si abbatte sulla famiglia di apatosauri, il rapporto tra Arlo e i genitori e i due fratelli fungono da miccia, affinché la scintilla se ne serva per rendere possibile la detonazione del congegno costruito da Sohn. Il viaggio, archetipo ideale per diverse opere di formazione, agisce sia come espediente narrativo (il ritorno verso casa), sia come metafora per la crescita e la maturazione di Arlo, protagonista ingenuo e anti-eroe naturale, ancorato al timore da un carattere schivo e introverso, troppo acerbo per vivere senza il sostegno della famiglia, per questo costretto a essere maltrattato dal destino e scaraventato lontano dal confortevole focolare domestico, affinché si ritrovi a non avere più scelta e intraprendere un percorso di crescita e maturazione che lo trasformerà in un dinosauro adulto, senza privarlo di quella sensibilità e gentilezza che lo contraddistinguono fin dalla nascita.

Rimane impressa nella memoria in maniera indelebile, la trionfale sequenza finale del ritorno a casa, nella quale Arlo viene simbolicamente festeggiato da una serie di piani montati in modo identico a quanto ammirato nella sequenza di introduzione della famiglia, con papà Henry al centro dell’inquadratura: una cornice che, seppur esaurita in una manciata di secondi, resta senza alcun dubbio la migliore sequenza del film. Stracolmo di citazioni e riferimenti classici (la scena della morte di papà Henry volutamente ispirata alla morte di Mufasa ne Il re leone, il t-rex Butch dal volto fisionomicamente somigliante a quello di John Wayne, per non parlare di una colonna sonora che ammicca ai temi del viaggio inclusi nella trilogia cinematografica de Il signore degli anelli), Il viaggio di Arlo miscela tra loro diversi generi, avventura, western, buddy-movie e road-movie, rendendoli sottogeneri di un’epica storia d’animazione a stampo familiare, che riesce a commuovere perfino il più incallito e perfido detrattore.

Altro punto focale dell’intera vicenda è costutito dal rapporto d’amicizia e collaborazione tra Arlo e il piccolo cavernicolo Spot: diametralmente opposti per aspetto fisico, carattere e obiettivi da perseguire, i due impareranno a conoscersi, rispettarsi, instaurando un solido legame d’amicizia e perfino dipendere l’uno dall’altro. Diverte (e questa è la seconda, ma geniale e semplice idea che valorizza e sulla quale si struttura l’intera pellicola) l’inversione naturale del rapporto cane/padrone, essendo, nel caso, Spot (l’umano) a ricoprire il ruolo dell’animale e Arlo (l’animale) a ricoprire quello dell’umano. Così come, da un evidente e differente punto di vista, la nuova fatica griffata Pixar è anche un film sulla natura o, meglio, sul rapporto uomo (dinosauro)/natura: le alte e incombenti montagne dai picchi innevati, la furia e il fragore della tempesta, le sconfinate praterie baciate dal sole, i boschi pieni zeppi di animali stravaganti, rappresentano il “nuovo mondo”, quello esterno, minaccioso e sconosciuto, per il quale Arlo prova paura, ma che costituirà il palcoscenico per la sua maturazione, quello stesso mondo esterno che, una volta completato il Viaggio, non ammirerà più con timore, ma con meraviglia e gratitudine.

Questo è l’insegnamento racchiuso ne Il viaggio di Arlo: uscite fuori, imparate a conoscere il mondo e state pur certi che, alla fine, imparerete a non aver più paura di esso, anzi, ad amarlo. Proprio come si amano i film della Disney Pixar.


CAST & CREDITS

(The good dinosaur); Regia: Peter Sohn; sceneggiatura: Peter Sohn, Erik Benson, Bob Peterson, Kelsey Mann, Meg LeFauve; fotografia: Adam Campbell, Andy Grisdale, Edgar Karapetyan; montaggio: Stephen Schaffer; musica: Jeff Danna, Mychael Danna; produzione: Pixar Animation Studios; distribuzione: Pixar Animation Studios; origine: U.S.A., 2015; durata: 100’; Proposta di voto: 4


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