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L’isola dei cani

Pubblicato il 2 maggio 2018 da Matteo Galli
VOTO:


L'isola dei cani

Quasi dieci anni dopo The Fantastic Mr Fox Wes Anderson torna a lavorare su un film di animazione stop motion con Isle of Dogs, la sua opera nona (nell’arco più di 20 anni) che è da considerarsi come una sorta di mix tra il film citato e il precedente (appena quattro anni fa) Grand Budapest Hotel : animali che lottano per la sopravvivenza + società immaginaria. Se gli animali di The Fantastic Mr. Fox erano roditori e canidi (la volpe!) e la società immaginaria di Grand Budapest Hotel era una sorta di utopia volta all’indietro rappresentata dal regno di Zubrowka, qui ci troviamo in una società del futuro, di un futuro neanche troppo lontano (la prima idea ha confessato Wes Anderson in conferenza stampa era addirittura quella di un film ambientato nel 2007, ma dalla prospettiva degli anni ’60) e gli animali sono tutti cani, secondo quanto lascia immaginare il titolo. Come nel caso di Grand Budapest Hotel ci sono momenti, molti, in cui il film presenta un ritmo talmente vertiginoso che per scrivere una recensione bisognerebbe vedere il film almeno due volte, tante e tali sono le suggestioni visive e parlate, intra- e intertestuali cui Isle of Dogs indulge. Se poi, in particolare in riferimento a questo film, si tiene conto delle innumerevoli suggestioni grafico-linguistiche, dovute al fatto che il film si svolge in Giappone e che tutti gli esseri umani, con l’eccezione di una ragazzina di Cincinnati (Ohio), ribelle studentessa di scambio temporaneamente in Giappone, parlano giapponese mentre invece i cani parlano in inglese con le voci di una quindicina fra i più famosi attori americani (in ordine alfabetico: Balaban, Cranson, Gerwig, Goldblum, Johansson, Keitel, Mc Dormand, Murray, Murray Abraham, Norton, Swinton, più una valanga di voci giapponesi fra cui Yoko Ono) la percezione, la ricezione si complicano oltre misura, tanto che chi assiste al film ha costantemente la sensazione di perdere qualche dettaglio. A complicare ulteriormente tutto questo il caro Wes, regista postmoderno se mai ve ne furono, spezza il continuum narrativo in capitoli, sottocapitoli, prologhi, prolessi e analessi, tutti sempre rigorosamente marcati. Un meccanismo narrativo complesso, dunque, che si presterebbe piuttosto a una approfondita e lenta analisi saggistica anche solo per decifrare titoli, sottotitoli, didascalie etc.

La società del futuro di cui si diceva è la città giapponese di Megasaki, cui Anderson aggiunge giusto per confondere ulteriormente le acque anche l’appellativo di “city”. Dunque a Megasaki City (la tradizione è in tutto e per tutto quella di Metropolis) il sindaco-dittatore Kobayashi ha spedito tutti i cani nella non troppo distante Trash Island, l’isola della Monnezza, l’isola-discarica, sostenendo che siano troppi e per di più infettati da un morbo inguaribile (lo scienziato, non solo scienziato ma, anche e soprattutto, candidato del principale partito di opposizione, il Partito della Scienza, il professor Watanabe, saprebbe bene come guarire questo morbo, ma interessi superiori non vogliono affatto che i cani guariscano). Chi non si rassegna è Atari, il nipote adottivo del sindaco-dittatore (il nome ovviamente non è casuale: è uno dei numerosissimi omaggi alla cultura giapponese che ritroviamo in questo film): per far finta di essere equo e politicamente corretto, il tiranno ha spedito a Trash Island anche Spots, il cane di Atari. Che infatti, vestito di tutto punto da pilota provetto, ruba un aereo e parte per l’isola perché lo vuole ritrovare a tutti i costi, il suo caro Spots; qui, in mezzo a infiniti cumuli delle più diverse macerie, Atari troverà i cinque cani - Chief (Cranston), Rex (Norton), Duke (Goldblum), King (Balaban), Boss (Murray) - che lo aiuteranno nell’impresa apparentemente disperata di ritrovare il suo cagnolino, un aiuto, come se non bastasse, complicato dal fatto che Atari parla giapponese e i cani parlano inglese e nessuno sa la lingua degli altri. Lo spettatore conoscerà nell’isola un sesto personaggio, ossia Nutmeg, l’unico cane femmina dell’intero film, a cui presta la voce Scarlett Johannson, titolare dell’elemento “romantico” in un film altrimenti tutto al maschile - e i nomi dei cinque cani, esemplari alfa, la dicono lunga. Si dipanano di qui una serie di avventure che - sarà il fatto che stiamo parlando di un film di animazione, sarà il fatto che il tutto si svolge in Giappone - assomigliano molto (e consapevolmente) ai vari livelli di un videogioco, il tutto intervallato, in montaggio ora alternato ora parallelo, da quello che sta succedendo a Megasaki City, dove fra gli altri compaiono almeno altri tre personaggi importanti: la già citata studentessa americana, una specie di Angela Davis bionda, che invita alle proteste e all’insurrezione (la voce è di Greta Gerwig), il cattivo cattivo cattivo, che è il maggiordomo/assistente di Kobayashi che ha un superiore interesse alla sparizione dei cani essendo il principale produttore di cani-robot e, in forma di cameo, Yoko Ono che interpreta se stessa. Gli omaggi di Anderson e dei suoi co-sceneggiatori al Giappone sono, come si diceva, pressoché infiniti: da Atari a Kurosawa, dal sushi a Miyazaki, dal manga al sumo, tanto che dalla sceneggiatura in giù il regista ha voluto dotarsi di una sequela di esperti per legittimarsi in termini di correttezza etnico-politica.
E l’eccesso di correttezza è forse il limite maggiore di questo film: correttezza politica, correttezza ecologica, correttezza etnica, correttezza di genere (la donna “romantica”, ma poi anche la donna politicamente attiva). Persino Kobayashi, alla fine, si redime.
Per finire però ci sarebbe da aprire tutto un discorso su quanto una pellicola che nasce come un film distopico-fantasy presenti non abbia finito - nell’arco degli ultimi due anni e mezzo, da quando cioè è stata progettata - per assumere tratti di paradossale realismo: democrazia solo formale e populismo, migrazioni ed espulsioni. Ognuno può decidere liberamente fino a dove estendere i propri campi associativi.


CAST & CREDITS

(Isle of Dogs). Regia: Wes Anderson; sceneggiatura:Wes Anderson, Roman Coppola, Jason Schwartzman, Kunichi Nomura; fotografia:Tristan Oliver; montaggio: Ralph Foster, Edward Bursch; musica: Alexandre Desplat; voci: Bryan Cranston (Chief), Edward Norton (Rex), Bill Murray (Boss), Jeff Goldblum (Duke), Bob Balaban (King), Koyu Rankin (Atari), F. Murray Abraham (Jupiter), Greta Gerwig (Tracy), Frances Mc Dormand (l’interprete), Courtney B. Vance (il narratore), Harvey Keitel (Gondo), Liev Schreiber (Spots), Scarlett Johansson (Nutmeg), Tilda Swinton (l’oracolo), Kunichi Nomura (Kobayashi), Yoko Ono (se stessa); produzione:Indian Paintbrush, Santa Monica, American Enpirical, Beverly Hills; origine: Gran Bretagna, Germania 2018; durata: 101’.


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