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Jumper

Pubblicato il 29 febbraio 2008 da Alessandro Izzi


Jumper

Gli sceneggiatori hollywoodiani, si sa, sono in sciopero da diverso tempo. Rivendicano, con le loro azioni sindacali, i loro diritti non solo economici di (co)autori del film. Dicono apertamente, coi loro picchetti, coi cartelli che sventolano sulle strade losangeline attraversate dai divi di turno, che se un remake di un horror giapponese, è riuscito ad incassare più del suo costo, il merito deve essere anche loro. E sono talmente presi nelle loro manifestazioni che, da qualche mese, con l’idea di mettere in ginocchio la più potente industria cinematografica del mondo, non scrivono più storie, non pensano più in dialoghi, non creano più personaggi.
David S. Goyer, Jim Uhls e Simon Kinberg, gli sceneggiatori di Jumper, sospettiamo, devono essere entrati in sciopero un po’ prima degli altri. Il bello è che non se ne sono neanche accorti! Hanno continuato per lungo tempo, durante la stesura del loro capolavoro, a buttar giù inchiostro su fogli di carta bianchi convinti, con questo, di star facendo quel lavoro per cui avrebbero incassato, alla consegna, un assegno con qualche zero di troppo e non hanno realizzato che le loro menti (non parliamo di cuori: quelli in genere ad Hollywood non c’entrano neanche) erano già giù in strada a gridare gli slogan.
Il risultato è un film che ha più buchi di una gruviera, ma che, ahinoi!, non ne ha il sapore. Un prodotto talmente figlio dell’estetica del colabrodo che, ad un certo punto della proiezione, ti viene pure il sospetto che un suo senso ce l’abbia e che questo caracollare da una situazione all’altra in barba ad ogni logica narrativa e ad ogni sentore di progressione psicologica non sia un errore, ma una precisa scelta di campo motivata dal tema.
Del resto il film parla di Jumpers, ovvero di individui capaci di teletrasportarsi da un punto all’altro del globo con la sola forza del pensiero, e deve essere normale che qualche frammento di racconto, qualche battuta di dialogo o qualche elemento che avrebbe potuto garantire un minimo di coerenza al tutto, si perda nel processo.
In questo modo, sbalzati da un posto all’altro in cerca di una qualche emozione (come il giovane sfigato di turno che scopre il suo potere e lo usa per rifarsi una vita senza mai chiedersi uno straccio di perché), al pubblico in sala non resta altro da fare che quella che deve essere stata la maggior cura degli stessi autori del film: sincronizzare gli orologi e verificare che ogni location abbia il suo giusto fuso orario.
Mai, per tutto il film, riusciamo a trepidare per le sorti dei vari personaggi che ci vengono messi davanti. Ci restano tutti per lo più oscuri come poco chiaro è il significato di questo mondo diviso tra jumpers (eroici saltatori che non hanno, né cercano, uno scopo nella vita), paladini (che una meta ce l’hanno, uccidere chi salta, ma non se ne capisce mica il perché) e resto del mondo. In questo modo ci restano estranei i furori di Griffin, un jumper che vorrebbe rendere ai paladini pan per focaccia e che nasconde dischi piratati nel suo rifugio del deserto. Come pure non ci riesce di simpatizzare per la dedizione con cui Roland (capo, pare, dei paladini) dà la caccia a questi poveri fanciulli che, come gli X-men, non hanno altra colpa che quella di essere nati così.
Doug Liman dirige il tutto come se fosse ancora sul set di un episodio di The O.C. (scene romantiche con un rockettino leggero a commentare) e del tutto dimentico, per le scene di azione, di aver diretto anche The Bourne identity.
E a noi spettatori, emotivamente estranei al mondo narrato, non resta che il sorprenderci che un film costato così tanto (si parla di 100 milioni di dollari) duri così poco (appena un’ora e mezza). Ma poi, scrollate le spalle, non possiamo non intonare quel fatidico coretto che recita: “chi non salta bianconero è… è…”


CAST & CREDITS

(Jumper); Regia: Doug Liman; sceneggiatura: David S. Goyer, Jim Uhls, Simon Kinberg; fotografia: Barry Peterson; montaggio: Saar Klein, Don Zimmerman, Dean Zimmerman; musica: John Powell; interpreti: Hayden Christensen (Davey), Samuel L. Jackson (Roland Cox), Rachel Bilson (Millie), Diane Lane (Mary Rice), Jamie Bell (Griffin), Tom Hulce (Mr. Bowker), Michael Rooker (William Rice), Katie Boland (Sue Kimmell), Teddy Dunn (Mark), Max Thieriot (Davey da giovane); produzione: Twentieth Century-Fox Film Corporation, New Regency Pictures; distribuzione: Twentieth Century-Fox; origine: USA, 2007; durata: 88’


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