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Ken Park

Pubblicato il 20 settembre 2002 da Alessandro Izzi
VOTO:


Ken Park

Già la sola sequenza d’apertura si rivela una perfetta cartina di tornasole per comprendere appieno quali sono le intenzioni degli autori nel realizzare questo film: in un’assolata mattinata un ragazzo scorazza a perdifiato sul suo inseparabile skate-board mentre, in colonna sonora, scorrono le note di una classica canzone di puro rock adolescenziale. Un inizio, questo, lo si vede subito, abbondantemente standardizzato, di quelli già visti milioni di volte in tantissime teen-comedy e che viene riproposto, qui, non senza una certa dose di cinico sarcasmo. Si tratta, infatti di una sequenza normalizzante, dal gusto paratelevisivo che non sfigurerebbe certo in apertura ad uno dei tanti telefilm americani con protagonisti degli adolescenti che affollano anche la nostra stessa programmazione televisiva. In seguito il modello della messa in scena segue, in maniera abbastanza polemica se vogliamo, proprio la struttura tipica dello svolgimento di una vera e propria soap-opera: abbondanza di primi piani sui protagonisti del racconto, fotografia morbida e luminosa che sembra voler rifuggire (quasi sempre, almeno) ogni forma di contrasto luminoso e ogni forma di chiaro-scuro espressivo e, infine, un montaggio lineare che alterna, in maniera piana e quasi banale, le storie dei ragazzi che popolano l’universo piccolo-borghese che ospita questa vicenda esemplare. Ne viene fuori, soprattutto a livello iconografico e di messa in scena, il ritratto di un mondo molto rassicurante e quasi felice in cui nulla di male sembrerebbe poter mai realmente accadere. Un’impressione presto contraddetta dalla svolgimento stesso del racconto che mette in campo tutta una serie di situazioni piuttosto aberranti, eppure incredibilmente normali e quotidiane: dal ragazzo minorenne che ha una relazione illecita con la madre della sua stessa fidanzata, all’uomo sposato che cerca di avere rapporti sessuali con il figlio, al nipote sbandato che, in un momento di follia, accoltella ed uccide i nonni amorevoli che lo avevano fin lì accudito. Le situazioni narrate, che solo apparentemente conservano un’aura scandalistica, vanno ad urtare, allora, con i piani della messa in scena, creando, nello spettatore, un’impressioni di normalità abnorme che lascia tutti con l’amaro in bocca. Non c’è scandalo, dicevamo, nelle scene che gli autori mettono in campo, non tanto e non solo perché sono affrontate secondo i canoni di una messa in scena realistica, quanto e soprattutto perché lo spettatore è obbligato a riconoscere il fatto che le cose narrate nella pellicola accadono realmente e, a livello meramente statistico, anche con incredibile frequenza. In questo, il discorso portato avanti da Clark e Lachman è di incredibile lucidità e si mantiene perfettamente in linea con altre opere che gli autori hanno realizzato nel corso del tempo. Il loro modello è quello di un Cinema/Specchio che si concretizzi davanti allo sguardo attonito dello spettatore obbligandolo a scendere a patti con l’aberrante eppure reale immagine che in esso si riflette. La loro non è una lente distorta che modifica espressionisticamente la realtà che va descrivendo/osservando, ma un occhio aperto sul mondo, una sorta di finestra che si spalanca sulle nostre esistenze mostrando proprio ciò che noi preferiremo non vedere. In questo senso Ken Park è superiore ad un film come Bully (che pure è un film più compatto e riuscito) perché riesce a mantenere, sul suo mondo, uno sguardo polemica più morbido su realtà non meno angoscianti. Guidato da un cast perfettamente in parte, i registi affollano la messa in scena di sequenze dal gusto parodistico (le famiglie lietamente a tavola come in uno spot pubblicitario) e poi ci mostra, con lo stesso sorriso, il vuoto di valori che lo governa. Certo l’insistere su alcune scene fin troppo esibite (e non parliamo solo delle scene di sesso) rischia a volte di scivolare in un ridicolo involontario, ma esse assolvono una funzione ben precisa nell’economia del discorso. Se, come ci insegna Pasolini, è scandaloso solo ciò che è Sacro, allora il vero motivo di scandalo di questo film non risiede tanto nelle scene hard, quanto piuttosto nel palese bisogno di tenerezza ed amore che esprimono tutti i suoi personaggi.


CAST & CREDITS

(Ken Park); regia: Larry Clark, Edward Lachman; sceneggiatura: Harmony Korine; fotografia: Kramer Morgenthau; montaggio: Michael Brown; musica: Anthony Marinelli; interpreti: Tiffany Limos, James Bullard, Shanie Calahan, James Ransone, Stephen Jasso; produzione: Kees Kasander


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