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King Kong e la sua prole

Pubblicato il 26 dicembre 2005 da Ramon Gimenez de Lorenzo


King Kong e la sua prole

Che nel nostro mondo una grossa mole fosse sinonimo di longevità è dimostrato dalla pelliccia evergreen di Kong. Ad oggi, con l’ultima fatica di Peter Jackson sono diventati otto i figli legittimi di questo re dell’Isola dei Teschi. Un padre al quale non tutta la prole assomiglia, anzi.
All’inizio del 1934, dopo neanche un anno dall’uscita di ’King Kong’ di Merian C. Cooper, Ernest B. Schoedsack, la cui storia è praticamente riproposta integralmente dall’ottavo figlio, il film di Peter Jackson, lo stesso Schoedsack tenta di bissare il successo dell’opera prima con ‘Il figlio di King Kong’. Un vero e proprio sequel privo di qualunque idea nuova. Lo stesso Robert Armstrong, reinterpreta il regista Denham che, alle prese con le conseguenze dei danni che Kong ha provocato a New York, torna sull’isola in cerca di un tesoro. Schoedsack, non contento del secondo successo di botteghino, ma non di critica, continua a sfruttare l’idea del gorilla incontrollabile e nel 1949 sforna ‘Il re dell’Africa’. La storia parla di un gorilla che vive in Africa, di nome Joe, addomesticato dalla bella di turno, che viene scritturato per degli spettacoli a New York. Qui, grazie a del whisky, che funziona come elemento scatenante, esprime tutto il suo essere ingovernabile guadagnandosi un biglietto di sola andata per l’Africa. Un film nel quale neanche la presenza di Robert Armstrong catalizza più le attenzioni del pubblico. Sono lontane le emozioni del ’33. Questa pellicola, che viene girata per un pubblico giovane, è in seguito presa in considerazione per un remake nel 1998. Con quest’ultimo film la figura del gorilla acquisisce un po’ di umanità: nei primi film Kong è un mostro e basta.
Nel ’33 l’interesse da parte della bestia, per la bella Fay Wray, è legato ad un misto di desiderio e curiosità. La bella è una cosa sua e di nessun altro. Nel film del 1949 il rapporto tra la bella e la bestia cambia: la prima controlla maggiormente la seconda ed anche se quest’ultima perde il controllo distruggendo tutto ciò che trova dinanzi, grazie all’insegnamento della bella, assume, in modo inspiegabile, un atteggiamento protettivo nei confronti di alcuni orfanelli che incrocia nel suo viaggio nella civiltà. Il gorilla è riscattato dinanzi al pubblico!
L’America, dopo questo ultimo tentativo di comprendere poco e controllare molto la natura incontaminata, lascia il testimone, negli anni ’60, ai giapponesi che realizzano tre film sul personaggio di King Kong o meglio sulla sua nuova vocazione: la difesa dei deboli e degli innocenti. Esce così ‘King Kong contro Godzilla’ del 1963 nel quale Kong, trovato da una spedizione scientifica, viene portato a Tokyo e, quando Godzilla si risveglia a causa di una esplosione sottomarina, difende in una lotta all’ultimo sangue la città con tutti i suoi abitanti. Si susseguono ‘King Kong, il gigante della foresta’ del 1967 e ‘King Kong contro Godzilla 2’ del 1969. In entrambi, il primo contro uno scienziato pazzo che vuole assoggettare il mondo ed il secondo sempre contro Godzilla, Kong è il gigante buono che difende l’umanità dai pericoli che la minacciano usando la sua animalità solo per scopi benefici.
Dopo il primo ‘King Kong’ tutti i successivi, sono ambientati nel periodo storico nel quale il film viene girato. Nell’ambientazione rientrano anche i grandi problemi del tempo e le grandi questioni etiche o morali che sono a cuore dell’opinione pubblica.
Come film di genere, quelli su Kong bene si prestano ad essere veicolo delle paure e delle speranze del tempo. Così, per un Giappone degli anni ’60 fragile, in lenta ripresa, e con grosse contraddizioni culturali all’interno della sua società, questi film appaiono ricchi di studiosi, ONU, dischi volanti, scienziati pazzi desiderosi di distruggere la Terra e il bene ed il male nelle forme più primitive. Finiti gli anni ’60 nel 1976 il ‘King Kong’ di John Guillermin, prodotto da Dino De Laurentiis con gli effetti speciali di Carlo Rambaldi premiato per questi con l’Oscar, ritorna ad essere il mostro che era, ma il tempo continua a passare e i film di genere continuano ad essere specchio della realtà. A metà degli anni ’70, la crisi petrolifera innescata dall’OPEC, diventa spunto per giustificare la riscoperta dell’Isola dei Teschi e del suo re: Kong. Anche il rifugio ultimo di Kong cambia come ulteriore tributo alla realtà: l’Empire State Building scompare per dare spazio alle più grandi ed appena costruite Twin Towers. Nella storia non c’è più un regista senza scrupoli in cerca di scene indimenticabili e favolose, ma un dirigente di una grossa compagnia petrolifera che vuole trovare a tutti i costi petrolio proprio su quell’isola. Di petrolio neanche una goccia, ma con la cattura di Kong spera di avere la possibilità di ottenere per la propria compagnia un mezzo pubblicitario unico ed irripetibile. Rispetto al personaggio del regista Denham, questo dirigente è più libero di decidere e di agire, presenta meno rimorsi sulla fine degli altri personaggi, ma rimane ben lontano dall’egoismo del personaggio del regista Denham reinventato da Jackson.
Lo sviluppo della storia, dopo la cattura, è simile come trama al film del ’33 tranne che per alcuni aspetti legati ai personaggi. La bella, impersonata dalla sensuale Jessica Lange al suo debutto come attrice, ha un rapporto con Kong diverso da quello presentato da Fay Wray. Quest’ultima risulta terrorizzata, la Lange invece è quasi ipnotizzata dal desiderio del mostro di possederla. Non è certo l’affetto che Naomi Watts, nel lavoro di Jackson, esprime verso un Kong forse troppo umanizzato, ma una via di mezzo che dimostra come gli stessi personaggi ed i rispettivi ruoli sono mutati nel corso del tempo e dei remake.
Altro personaggio, che muta da un film all’altro, è quello proposto da Jeff Bridges, ricercatore di paleontologia e chiaramente schierato contro il sistema e la civiltà che distruggono, perché non la comprendono, la natura e le sue creature. Lui riveste il ruolo dell’innamorato della bella, ruolo che nel ’33 era rivestito da Bruce Cabot nei panni del vicecomandante della Venture. La differenza tra i due non è nell’affetto che provano per il personaggio di Anna, ma nel come considerano Kong una volta a New York.
È proprio il confronto con Kong a New York che determina la misura per osservare come, nelle varie versioni del film, fino all’ultima di Jackson, i ruoli dei personaggi cambiano. Nel film del ’33 regista, attrice e marinaio all’unisono sono d’accordo per utilizzare Kong come fenomeno da baraccone nello spettacolo di Broadway e non vi sono discordanze di opinione. Nel ’76 la bella è indecisa tra l’amore verso il suo innamorato e la carriera come attrice, ha paura del mostro, ma non vuole il suo male, rimane irretita dal suo desiderio. Lo spasimante (Bridges) cerca di difendere il mostro in tutti i modi e si oppone contro le intenzioni del dirigente della compagnia petrolifera. Dimenticandoci del sequel tristissimo del 1986 ‘King Kong 2’, sempre della coppia Guillermin-De Laurentiis, si arriva direttamente all’ultimo ‘King Kong’ di Peter Jackson che, a parte la firma della Weta Digital per gli effetti speciali che supera ogni previsione visiva, presenta tutti i principali personaggi completamente riveduti e corretti. Si torna nel 1933 con una descrizione impressionante di quel periodo nella prima parte del film, ma la realtà non mente mai e il film è pieno dello spirito del nuovo millennio.
Kong non è più il mostro del ’33 né la bestia eccitata del ’76: è un essere che può provare sentimenti e possiede una certa sensibilità. Una descrizione questa molto vicina alla realtà della società dei gorilla che è stata studiata negli ultimi decenni. Il regista Denham supera ogni immaginazione in termini di desiderio di raggiungere il proprio scopo. Diventa un’evoluzione, in termini di egoismo, della bramosia di successo espressa dalla compagnia petrolifera nel film del ’76. Un uomo privo di scrupoli per il quale il fine giustifica i mezzi. Jack Black è perfetto nella parte. La bella attrice Naomi Watts sembra, in certi passaggi, addirittura innamorata di Kong, mentre Adrien Brody, il timido sceneggiatore si oppone moralmente alle intenzioni del regista senza compromessi di sorta.
Jackson, rispetto al film del ’33 trasforma i personaggi rivoluzionandoli e comunque definendoli come frutto di un’evoluzione che passa anche attraverso i film che lo separano dal primo ‘King Kong’. Come dice Mereghetti nel suo ‘Dizionario dei film’, l’epopea della grande scimmia “Fonde perfettamente tutti gli elementi del divertimento popolare con una serie di espliciti riferimenti al mondo dello showbusiness e in particolare al cinema, così da diventare anche un’acuta riflessione sullo spettacolo e i suoi limiti”.


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