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L’arte della fuga

Pubblicato il 1 giugno 2018 da Fabiana Sargentini
VOTO:


L'arte della fuga

Se alla fine di una proiezione, fuori da una sala cinematografica, si dovesse pensare di aver appreso una verità impartita, da questo film si uscirebbe pensando: basta osservare e preoccuparsi delle infelicità altrui per distrarsi dalle proprie, fare finta di niente e alla fine liberarsene fuggendo in qualche paese lontano. L’arte della fuga di Brice Cauvin è una commedia francese tipica, leggermente auto-ironica, con personaggi tipici, stereotipati su modelli politicamente corretti: una madre appiccicosa di mezza età, colta e spiritosa, con una preferenza per il figlio più bello; un padre indipendente e esuberante che per ogni piccolo malore si reca al pronto soccorso; tre figli maschi, tutti a loro modo bravi ragazzi: il primogenito Gérard (interpretato da Benjamin Biolay) con matrimonio appena fallito alle spalle non ancora metabolizzato, un mediano omosessuale, Antoine (interpretato da Laurent Lafitte), scontento dopo dieci anni di convivenza monogama, il più giovane, Louis (Nicolas Bedos) particolarmente avvenente, inafferrabile, realizzato nel lavoro, egoista, gaudente auto-indulgente al punto da sottovalutare un tradimento passionale durante la fase di fidanzamento con la ragazza perfetta, desiderata e amata più dai genitori che da lui. Agnès Jaoui, superati i cinquanta, sempre una bella donna, viene ormai chiamata per ruoli eterogenei di compagna, amica estroversa e stravagante, donna indipendente senza figli col coraggio di colorarsi ciocche di capelli di blu e di rosa, indossare palandrane pelose immettibili, gonne lunghe anni Settanta, chincaglieria orientale alle orecchi, provare costantemente cibo etnico mai assaggiato. La collettività, lo scambio affettivo, i legami familiari sono al centro di una storia semplice di infelicita riflesse e incastrate in una girandola di riprovazione, accettazione, elaborazione, in cui Antoine, assumendo il ruolo più centrale nella trama, si erige a giudice, a tratti moralista, geloso, invidioso dello spirito vitale di coloro che gli sono attorno (“è meglio vivere di rimorsi piuttosto che di rimpianti’). Una recitazione leggermente sopra le righe (come alcune delle gag), colpevole in parte una sceneggiatura molto parlata (una battuta indimenticabile: “non mi piace essere d’accordo con uno psicologo”), una regia delicata mai intrusiva, colpi di scena al momento giusto compongono un quadretto edulcorato di una Francia, dichiarata più volte nel dialogo, in crisi economica (il negozio di abbigliamento a gestione familiare non vende quasi più niente; il figlio maggiore Gérard licenziato è finito a fare il commesso stipendiato dai genitori; il mediano che ha preferito lavorare in una casa editrice d’arte in alternativa all’impiego fisso nella scuola).
La ancora bellissima Marie Christine Barrault interpreta gradevolmente un carattere femminile agé con una dolcezza intrinseca nella perfezione di lineamenti, nella purezza di sguardo, nel languore dell’incarnato. Tratta da un romanzo best seller in Francia, scritto da Stephen McCauley, autore americano francofilo, sceneggiata in collaborazione col medesimo, la pellicola non tradisce la matrice letteraria, non avendo nulla di verboso né di pedantemente didascalico: pregio dovuto all’attenzione verso una francesizzazione dei modi di parlare, delle situazioni, dei mestieri, dei luoghi. La visione lascia un senso di leggerezza gradevole, non molto altro.


CAST & CREDITS

(L’arte della fuga); Regia: Brice Cauvin; sceneggiatura: Raphaëlle Desplechin-Valbrune, Brice Cauvin, Agnès Jaoui, Stephen McCauley; fotografia: Marc Tevanian; montaggio: Agathe Cauvin; musica: François Peyrony; interpreti: Laurent Lafitte, Agnès Jaoui, Benjamin Biolay, Nicolas Bedos, Marie Christine Barrault, Guy Marchand, Bruno Putzulu; produzione: Hérodiade Films; distribuzione: Kitchen Film; origine: Francia, 2014; durata: 98’


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