L’esplosivo piano di Bazil

Marocco, deserto, mattino. Una bomba uccide un soldato francese. Anni dopo: Parigi, videoteca, sera. Una pallottola vagante si conficca nel cranio di Bazil (uno stralunato, convincente Dany Boon, reduce dal successo di Giù al Nord), figlio orfano del suddetto soldato. Miracolosamente sopravvissuto e scoperte la provenienze di bomba e pallottola, il giovane protagonista concentrerà ogni energia per vendicare tanta sofferenza, aiutato da una variegata gang improvvisata di rigattieri.
Torna al cinema, con cinquanta, benauguranti copie italiane, il Jean-Pierre Jeunet, geniale regista di Delicatessen, Alien: la clonazione, Il favoloso mondo di Amélie. Torna con una storia che sa di fiaba moderna, di favola costruita a mano, dopo aver rifiutato la regia di un Harry Potter e dopo il mezzo fiasco di Una lunga domenica di passioni. Aleggia su tutto l’innocenza (?) di un “gentile” contro i Golia oligarchici in questo ultimo lavoro del regista francese. Sarebbe troppo semplice e riduttivo relegare il protagonista nella schiera degli “Amélie” declinati al maschile: Bazil è in qualche modo la sua evoluzione, una rilettura acida e vendicativa del personaggio della Poulain, le cui prese di posizione contro i kattivi si limitavano a piccoli scherzi da discola delle elementari. Da Bazil esonda la dark side of the moon, si esplicita la vendetta , il calcolato, diabolico piano per sovvertire il singolo responsabile della malvagità, ma anche lo status quo che questo rappresenta. Un protagonista dalle molte sfaccettature, improntato al Bene, ma pronto a usare ogni mezzo per bloccare i fabbricanti di Male, condito da personaggi di un mondo altro, sconfitto e perdente. Un mondo quasi sotterraneo che sopravvive e lotta , nei meandri della caverna di spazzatura tecnologica, luogo abilmente creato dalla scenografa Aline Sonetto, dove si muovono con leggiadria i sette personaggi in cerca di vendica(u)tore.
Sempre presenti i feticci-impronte del cinema di Jeunet, dall’amore spassionato per gli oggetti e le loro possibili mutazioni sotto l’egida di una sfrenata fantasia - con la visione del mondo come un grande giocattolo da condividere con serenità - all’uso di contrasti e paradossi tra i set “reali” del lungo-Senna e i grattacieli debordanti e vagamente espressionisti che si palesano fieri oggetti di studio. Feticci assoluti come l’oggetto-principe nelle mani del demiurgo a 24 fotogrammi: l’attore, quel Dominique Pinon onnipresente nei film di Jeunet, con la sua bocca larga e la parlata timida e nervosa, che accompagna il regista fin dall’esordio in Delicatessen , dove interpretò magistralmente Louison, che sfidò il condominio cannibale grazie agli uomini rana e a una Amélie ante-litteram. Anche nel film girato a quattro mani con Marc Caro nel 1990, si profila una civiltà allo sbando, incarnata in una città senza passanti, senza vitalità, senza futuro. Una civiltà deformata come gli obiettivi utilizzati per descriverla, come i grandangoli che gonfiano e manipolano i volti e corpi, oggetti e luoghi. Si ride e sorride con Jeunet, ma lo sfondo nero e il Nulla che avanza affiorano in primo piano e persino la catartica gentilezza dei personaggi in qualche modo rimane offuscata dallo scenario in cui questa si esplicita, come fosse una rivoluzione riuscita che dovrà ricominciare, che non avrà mai fine, una speranza che è eterno circolo vizioso.
Che gusto tutto francese ha la cinefilia esplicitata da Jeunet, mai da orpello narcisistico, sempre omaggio gentile e appassionato, nel mescolare la scena finale di C’era una volta il West e i dialoghi Bogart/Bacall del Grande Sonno, ma anche nel portare in scena la lotta “inevitabile” dell’uomo contro la tecnologia invadente, tipica e topica di Buster Keaton. Si sente un persistente e coinvolgente profumo del Gilliam dei tempi migliori, in cui la scenografia visionaria e di metropoli disumanizzate schiacciavano personaggi anticonformisti rivoluzionari e ignari di esserlo. Bazil e Brazil si intersecano a distanza di decenni, nella metropoli dei pochi, freddi grattacieli che contengono l’insalubre, i sorrisi dei mercanti della morte e i topi nelle gabbie orwelliane, la burocrazia pericolosa quasi che fosse una pallottola. Questo racconta Jeunet, accompagnandoci nelle spire dell’Esplosivo piano di Bazil: a sovvertire sono sempre gli ultimi, i non allineati, i sette nani accompagnati da Biancaneve.
E allora sovvertiamole queste aziende della morte, queste fabbriche, che sulla Tiburtina producono sistemi sofisticatissimi di missili, queste aziende del bresciano che per onorare le armi organizzano una fiera annuale, spesso spacciata come mezza goliardata di sparuti cacciatori. Andiamo a chiedere alla banca dove lasciamo i nostri risparmi se con gli stessi vengano finanziati traffici nei Sud del mondo martoriati da guerre civili. Che un po’ di Bazil sia in tutti noi, pour plaisir!
[Carlo Dutto]
(Mic Macs) Regia: Jean-Pierre Jeunet; sceneggiatura: Jean-Pierre Jeunet, Anne Wermelinger; fotografia: Tetsuo Nagata; costumi: Madeline Fontane; scenografia: Aline Sonetto; interpreti: Dany Boon (Bazil), Dominique Pinon (Buster), Yolande Moreau (Mama Chow), André Dussolier (Nicolas Thibault de Fenouillet), Nicolas Marie (Francois Marconi), Julie Ferrier (Elastic Girl);produttori: Frédéric Brillion, Gilles Legrand per Epithete Films e Tapioca Films; produzione: Warner Bros Entertainment France; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Francia; durata: 105’; webinfo: www.eaglepictures.com;
