L’uomo nell’ombra

L’ex primo ministro Adam Lang (un Pierce Brosnan palestrato e un po’
plastificato) lo apostrofa sempre e soltanto con “Hi, man”, il suo
ghostwriter (un Ewan McGregor timido e casual), perché non ricorda il
nome, dicono i collaboratori. Ma in realtà il suo vero nome non lo sa
nessuno. Il dramma del ghostwriter è che non ha un nome, non ha
un’identità, viene pagato profumatamente per non averla, un’identità.
Chi ci ha provato ad averla, un’identità, ad uscire dal ruolo
assegnatogli, è finito molto male, il suo predecessore, che – chissà
come – un nome ce l’aveva, si chiamava Mike McAra. Col suo corpo
esanime sbattuto a riva dalle onde si apre The Ghost Writer di Roman
Polanski, presentato in concorso alla Berlinale, alla presenza degli
attori, dello scrittore Robert Harris, autore del romanzo
(semplicemente The Ghost) e collaboratore della sceneggiatura. Mancava Polanski, a Berlino, e sappiamo perché.
Scritto nel 2007 il romanzo è incentrato sulla figura di un ex-primo ministro inglese, che assomiglia tanto a Tony Blair (ma qualche tratto di altri primi ministri dell’Europa Occidentale è qua e là ravvisabile) e che dietro un compenso a sei zeri dovrà in breve tempo scrivere le sue memorie. Anzi: farsele scrivere. Ma neanche ha cominciato a riprendere in mano il lavoro (un polpettone di 600 pagine) lasciatogli in eredità dal suo predecessore, neanche ha fatto in tempo a conoscere il suo mandante e già l’attualità travolge il ghost writer perché travolge l’ex premier: un ministro della sua vecchia coalizione denuncia Lang per aver
consegnato cittadini sospettati di atti terroristici nelle grinfie dei
torturatori di Guantanamo, l’ex ministro finirà indagato dalla corte
dell’Aja. E il povero scrittorucolo, abituato a redigere le memorie di
personaggi molto glamour ma molto insulsi, oltreché assai più innocui,
si ritrova, come tanti protagonisti hitchockiani, in una storia più
grande di lui, dove a poco a poco emergono più o meno sconvolgenti
nefandezze sui rapporti fra Gran Bretagna e USA, sul coinvolgimento
dei servizi segreti.
L’oliato meccanismo del political thriller (bisogna tornare a Frantic, e ad un altro eroe molto hitchcockiano e molto spaesato per trovare un Polanski del genere) funziona bene, il ritmo è buono, le rivelazioni finali sono invece ben poca cosa rispetto alle attese suscitate nello spettatore. Che la CIA ci abbia messo anche in questa vicenda lo zampino, non stupisce davvero ormai nessuno, forse solo il signor Nessuno. Solo a malincuore il ghost writer lascia quella sorta di carcere di massima sicurezza che è l’inquietante casa blindata dove vive Lang col suo entourage (enorme bunker claustrofobico come il Dakota di Rosemary’s Baby, l’appartamento di Treikowski nell’ Inquilino del terzo piano o le case in cui “sparisce” Szpilman nel Pianista) e lasciandosi guidare da internet (dove, secondo Polanski e Harris, in realtà si troverebbe veramente tutto, anche lo “Who’s Who” della CIA, mah…) e dal navigatore satellitare, cerca di capirci di più, di investigare su
quanto è accaduto e su quanto potrebbe accadere. Solo di controvoglia
il ghost writer il signor Nessuno, diventa protagonista, o prova a
diventarlo.
Il film è una ricca co-produzione anglo-franco-tedesca:
la East Coast americana e Martha’s Vineyard, dove si svolge il libro
di Harris, sono diventate Sylt e Usedom, le due principali isole
tedesche sul Mar del Nord e sul Baltico, la city londinese è stata
ricostruita a Babelsberg. Sappiamo perché.
(The Ghost Writer); Regia: Roman Polanski; sceneggiatura: Roman Polanski, Thomas Harris; soggetto: Thomas Harris, tratto dal romanzo The Ghost; fotografia: Pawel Edelmann; montaggio: Herve de Luze; costumi: Dinah Collin; interpreti: Ewan McGregor (il ghostwriter), Pierce Brosnan (Adam Lang), Kim Cattrall (Amelia Bly), Olivia Williams (Ruth Lang), Tom Wilkinson (Paul Emmett), Timothy Hutton (Sidney Kroll); produzione: Roman Polanski, Robert Benmussa, Alain Sarde; origine: Francia, Germania, Inghilterra; durata: 128’.
