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La battaglia dei tre regni

Pubblicato il 23 ottobre 2009 da Nicola Lazzerotti


La battaglia dei tre regni

Quando intervengono tanti anni tra un’opera e l’altra un autore importante viene sempre atteso al varco, specie se nel tempo trascorso l’autore in questione ha cambiato completamente il luogo di lavoro. Woo, infatti, lasciato ad altri lo scontro etico e morale con le ‘sirene’ hollywoodiane degli studios, tanto ricchi quanto ciechi nell’imbrigliare il talento del grandissimo autore cinese, è tornato a casa e dopo un lungo periodo di ‘riflessione’ ha portato alla luce lo straordinario La battaglia dei tre regni (ancora un applauso ironico a chi ha tanta fantasia nel tradurre i film!). Il periodo americano è stato infatti un momento travagliato per l’autore, in cui i suoi lavori andavano con un andamento altalenante sia di critica che pubblico, e in cui in molti si chiedevano che fine avesse fatto il regista di capolavori come The Killer e Bullet in the head. E’ chiaro che la personalità di spicco dell’autore in contrasto con i produttori americani e i relativi compromessi hanno minato, e non poco, il suo talento nelle ultime opere. Talento riesploso, per fortuna, con quest’ultimo film.

208 d.C., l’impero della Cina è diviso in regni in conflitto tra loro. Il primo ministro Cao Cao, influenzando la decisione dell’imperatore, decide di invadere il regno dell’ovest, sotto la guida del re Liu Bei, e il regno del sud guidato dal re Sun Quan. Grazie all’intervento del consigliere militare Zhuge Liang i due regni formano un’alleanza per fermare il nemico oppressore.

I film wuxiapian (cappa e spada) sono probabilmente il genere cinematografico più autoctono della cultura cinese. Come per il western nella cultura americana, i grandi registi che si avvicinano al wuxiapian riescono, restando sempre all’interno dei rigidi schemi del genere, a dare alle loro pellicole un tocco personale, forte e marcato. Così è stato per Ang Lee e Tsui Hark, così è oggi per John Woo. Il suo non rappresenta però un ingresso nel genere, ma in un certo senso un ritorno ai primi amori e ai sui primi film. La battaglia dei tre regni andrebbe inteso quindi più come una rinascita personale, una rinascita dal torpore creativo hollywoodiano per un rinnovato e ritrovato talento che per lungo tempo era andato smarrito.
Il film è girato con una libertà espressiva che da troppo non ricordavamo, libertà in cui emergono cristalline tutte le peculiarità del suo fare cinema: abbondanza di simbolismi, sovra-impressioni, montaggio frenetico spesso fuori asse e le tematiche classiche come l’amicizia virile. Ritroviamo quindi le familiari colombe bianche che, a differenza del passato, non rappresentano più la pace del guerriero, come per esempio in The Killer, ma sono le portatrici di un messaggio nuovo: una pace nazionale che si fa metafora anche di un discorso più complesso. Il primo elemento che emerge oggettivo è il passaggio da una tipologia di storia di singoli eroi a una dimensione corale: ecco la grande novità. L’autore articola quindi un racconto, ispirato ai miti e ai poemi greci, dove non esistono singole personalità, ma un coro di volti e di storie, tutte straordinariamente narrate, che raccontano di uomini e di donne con le loro vite e le loro psicologie, legate insieme da un filo sottile.
Anche il mito classico perde completamente sostanza. Se in Face off e M:I-2 il mito era infatti allusione - Castore, Polluce e Chimera erano in fondo solo dei nomi allegorici che si esaurivano nel loro significato - diversamente, in questo film avviene una rilettura e un ribaltamento dell’Iliade. Zhuge Liang richiama chiaramente la figura di Ulisse. Si tratta di un Ulisse non solo omerico, ma anche dantesco: un personaggio pervaso da un umanesimo venato sempre da un desiderio di pace e di armonia. Le scogliere rosse del titolo originale (Red Cliff) sono il luogo dell’assedio ma, a differenza dei troiani, gli assediati lottano per la sopravvivenza e contro le ingiustizie. Come Elena di Troia, Xiao Qiao è una donna vittima delle brame di uomini potenti; Cao Cao ne è segretamente innamorato, e in un senso lato lei è causa della guerra. Ma a differenza del suo corrispettivo classico, Xiao Qiao va incontro al proprio destino sacrificandosi per scongiurare la battaglia.
Come abbiamo potuto notare il vero fulcro della storia, liberamente ispirato a Il romanzo dei tre regni, è il desiderio di pace. Woo lo manifesta continuamente in tutto il film: pensiamo alle colombe bianche come messaggere, agli scritti di Xiao Qiao sui fogli bianchi, al fatto che Pace è il nome del nascituro che Xiao Qiao porta nel grembo, che la pace è in fondo anche quello che chiede l’imperatore, impotente nella prima scena (dura a riguardo è la battuta di Zhou Yu alla fine della battaglia difronte ai troppi cadaveri: «...Oggi, qui non ha vinto nessuno...»). Questo film può essere allora inteso come un manifesto morale rivolto al mondo da parte dell’autore, una richiesta e un desiderio, che Woo stesso non sa negarsi.
Siamo allora soddisfatti di ritrovare un grandissimo autore, con il suo talento visivo (tra i più saccheggiati della storia del cinema), e il suo inconfondibile modo di fare cinema scevro da compromessi e costrizioni, e finalmente autenticamente libero.


CAST & CREDITS

(Red Cliff); Regia: John Woo; sceneggiatura: Khan Chan, John Woo; fotografia: Yue Lü, Li Zhang; montaggio: Robert A. Ferretti; musica:Tarô Iwashiro; interpreti: Tony Leung Chiu Wai (Zhou Yu), Takeshi Kaneshiro (Zhuge Liang), Fengyi Zhang (Cao Cao), Chiling Lin (Xiao Qiao); produzione: Beijing Film Studio; distribuzione: Eagle Pictures; origine: Cina, 2009; durata: 148’ (international version)


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