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La bisbetica domata o la Cavadda Addomesticata

Pubblicato il 18 dicembre 2015 da Giovanni Spagnoletti


La bisbetica domata o la Cavadda Addomesticata

In scena questi giorni allo storico Teatro Vitaliano Brancati di Catania fino al 20 dicembre, "La bisbetica domata" diretta da Turi Giordano e interpretata da una delle indiscusse protagoniste dei palcoscenici siciliani ovvero Guia Jelo, è un vero e proprio studio del testo shakespeariano trasposto con grande felicità in vernacolo siciliano dal regista. La scelta delle parti del testo da eliminare e quelle invece da mettere in scena non è stata una decisione meramente strumentale atta a evidenziare la parte più carnascialesca dell’originale come potrebbe risultare di primo acchito. Viceversa lo studio condotto sul testo da Giordano denota una grande conoscenza delle assonanze tra le diverse scelte sceniche nonché trai personaggi che Shakespeare aveva scelto rispetto a dei canovacci preesistenti nella commedia dell’Arte italiana. Non è un caso che nello spettacolo/testo originale, "The taming of the shrew", si racconti una commedia nella commedia, ovvero di un gruppo di attori - come nelle compagne di giro della nostra Commedia dell’Arte - che decidono di mettere in scena uno spettacolo, in cui molti elementi sono imprescindibili dalla tradizione teatrale del nostro paese: in primis i servi e le loro argute e comiche diatribe. Come non ricordare le figure dello Zanni e di Arlecchino evocate dalle brillanti scene corali scritte da Turi Giordano, che si è avvalso di una squadra di attori molto validi e dalla comprovata esperienza: Filippo Brazzaventre, Agostino Zumbo, in primis e poi Fabio Costanzo, Raniela Ragonese, Lucia Fossi, Giuseppe Bisicchia, Massimo Giustolisi, Monia Manzo, Giovanni Rizzuti e Angelo D’Agosta (quest’ultimo anche aiuto-regista). Il merito fondamentale di questa “Bisbetica domata", a nostro avviso, è stato quello non solo di non tradire il messaggio shakespeariano, ma anche di rendere accessibile agli spettatori di oggi l’importanza del ruolo femminile nella società seicentesca, dove la donna si doveva scontrare con la consuetudine dei matrimoni di convenienza oppure essere costrette a combattere per un vero amore. A tale proposito l’adattamento in vernacolo catanese è rimasta fedele all’originale soprattutto nel monologo finale in cui la Bisbetica/Cavadda ormai addomesticata si svela essere la vera Guia Jelo e che alcuni potrebbero giudicare poco moderna rispetto alla ormai affermata emancipazione femminile: bisogna però saper leggere tra le righe di un mondo linguistico che a priori vive di polisemia e in cui un concetto rimanda ad altri numerosi pensieri dell’autore. Chi avrà capito la preziosa interpretazione della Jelo, non può non aver notato che l’arrendevole discorso finale della protagonista, nel dichiararsi per amore ormai alla merce del volontà del marito Petruzzo, non è nient’altro che un voler asse-condare il mondo maschile per poi poterlo gestire all’interno di finte apparenze. Una strategia questa che le donne hanno sempre saputo gestire con maestria e quale pubblico è più adatto a comprendere tale meccanismo se non quello matriarcale nostrano? Nello spettacolo firmato da Giordano dunque tutto sembra voler congiungere Shakesperare alle matrici di italica origine in una sagace commistione di maschere e vita, esaltata dalle scene e dai costumi spiccatamente shakesperiani di Giovanna Giorgianni e dalla interpretazione degli attori in cui spiccano oltre alla Jelo, i due comprimari maschili - Filippo Brazzaventre nel ruolo di Petruzzo e Agostino Zumbo in quello di Battista, il povero padre della Bisbetica. Bravi tutti, comunque.


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