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La buca

Pubblicato il 27 settembre 2014 da Edoardo Zaccagnini
VOTO:


La buca

Sembra un film non italiano, nei colori, nelle atmosfere e nelle onde morbide disegnate dalla macchina da presa. Sembra d’essere in un inverno senza tempo, in una fiaba triste di qualche angolo di mondo a Nord (può darsi Europa), bagnato ed abitato da diverse solitudini.
La prima è quella di un avvocato rintanato in una sordida avarizia morale (Sergio Castellitto); la seconda appartiene a un galeotto appena uscito da trent’anni di prigione (Rocco Papaleo). La terza osserva le altre due dal bancone di un bar, ed è quella di una donna bella e dolce, un raggio di sole spento dalle nuvole, un sorriso dimezzato dal tempo (Valeria Bruni Tedeschi).
L’uomo di legge vive di piccole truffe e non ama nessuno. È logorato dall’avidità fino a portarne i segni sul viso: ha tic continui nei momenti di tensione, è ridotto a nervoso animaletto. L’uomo condannato dalla legge è uno sconfitto quasi muto, un povero cristo che però sa amare. Ha appena la forza di ribadire la sua innocenza, ma conserva intatto il suo candore: condivide l’unico biscotto con un cagnolino appena conosciuto.
Mentre la proprietaria del bar prova e rimettere insieme i cocci di tre inverni umani, siamo già magicamente piombati dentro un cinema sorprendente e suggestivo, e viaggiamo in compagnia di strani personaggi sbucati da un altro mondo cinematografico. Chapliniani e letterari, insoliti, antichi, e speriamo, alla lunga, freschissimi e vitali. Pensiamo, nei primi affascinanti minuti di pellicola, che se accadesse come nel precedente E’ stato il figlio, del 2012, dove dietro l’apparente leggerezza e le belle idee visive arrivavano un paio di schiaffoni nel finale, e i personaggi lievitavano d’improvviso fino a farsi tragici, beh, saremmo davanti a un film a dire poco interessante, probabilmente bellissimo. Non smettiamo di sperarlo quando la commedia inizia a farsi più di casa nostra, e i vecchi Risi, Monicelli e Scola incontrano quel cinema americano d’un tempo firmato Lubitsch, Capra, Edwards o Billy Wilder. Pensiamo che se le dichiarazioni d’amore e le immortali lezioni dei maestri fossero funzionali a sostenere ed esaltare una storia forte in capacità di emozionare, con personaggi veri da volergli bene o da sentirne i sentimenti, saluteremmo con immenso piacere un prodotto straordinario. Invece tutto si fredda dopo un po’, e se lo stile e la forma rimangono robusti, l’avvocato, il galeotto e i loro guai dimagriscono fino a smarrirsi. I personaggi smettono di crescere mano mano che avanzano, e il film si spegne lentamente e poi svanisce. Non bastano un paio di esilaranti intrusi, un paio di grotteschi niente male (un fotografo ed un giudice) a rianimare la pellicola. Ciprì prova a toccare temi profondamente umani anche stavolta, ma a differenza del passato, qui trascura la vita per rendere omaggio al cinema, e la sostanza gli scivola di mano. Capita, pazienza e soprattutto peccato.


CAST & CREDITS

Regia: Daniele Ciprì; sceneggiatura: Alessandra Acciai, Daniele Ciprì, Massimo Gaudioso, Miriam Rizzo; fotografia: Daniele Ciprì; montaggio: Giogiò Franchini; musica: Pino Donaggio Zeno Gabaglio; interpreti: Sergio Castellitto, Rocco Papaleo, Valeria Bruni Tedeschi, Ivan Franek, Teco Celio, Lucia Ocone, Fabrizio Falco; produzione: Passione, Rai Cinema, Imago Film; distribuzione: Lucky red; origine: Italia, 2014; durata: 90’


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