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LA DESTINAZIONE

Pubblicato il 18 giugno 2003 da Edoardo Zaccagnini


LA DESTINAZIONE

Esordire a sessanta anni nel lungometraggio per spendere al meglio le ore lente di una pensione finalmente arrivata. Il caso di Piero Sanna è storia ben diversa. L’autore del film La destinazione motiva fortemente a credere che all’origine del suo lavoro vi siano radici che arrivano molto più in profondità: l’urgenza di raccontare il suo popolo e se stesso. Sardo, ex carabiniere, studente di cinema presso la scuola di Ermanno Olmi, questo maturo esordiente si punta addosso la macchina da presa e con dolore si denuda. Denuncia la sua terra per omertà, ignoranza, omissione, sopraffazione. La racconta con le lacrime della vittima e la lucidità del testimone, nel tentativo di espiare le colpe della sua complicità. Il film è complesso. Non tanto perché le storie di pastori-banditi e padri-padroni vengono narrate in forma di documentario. C’è Olmi coi suoi contadini, Visconti e il piccolo Vincenzo Marra coi pescatori, De seta coi suoi banditi scarni ed essenziali. Tutti rigorosamente non professionisti. (Anche Sanna sceglie il dialetto puro e i sottotitoli per lo spettatore). Piuttosto, se ad Orgosolo si analizzava un mondo chiuso dentro leggi e strutture (culturali ed economiche) incapace di rendersi conto di un delicato e complesso processo di trasformazione altrove in atto, a Colores (che significa serpente) si insiste sull’aspetto antropologico di un sistema eternamente, dolorosamente fuori dal mondo. Sanna, con rabbia, immagini e significativi silenzi, racconta il masochismo immutabile della chiusura. Lo fa colpendo la cultura che lo ha formato, accusandola integralmente, cospargendo di rassegnazione ogni furto, violazione e crimine. Analizza, ma in maniera meno approfondita, anche il rapporto tra questa terra e lo stato. Attraverso un ritratto bonario e candido dell’arma dei carabinieri, e la figura sciapina di un giovane di Rimini, per caso in quel contesto, e volendo, autore del suo, poco interessante, romanzo di formazione. Se il contrasto fa risaltare l’integra violenza d’una cultura aspra e accidentata come la natura in cui si è sviluppata, toglie purtroppo unità allo scorrere del racconto, sospendendo fastidiosamente colori, costumi e lingua. Una mediazione non necessaria, dicotomia inutile. In tutto il resto il film possiede il corpo di un lavoro meditato, ragionato ed efficace. Un documento certamente interessante.

[giugno 2003]

regia: Piero Sanna, sceneggiatura: Piero Sanna montaggio: Piero Sanna, musica: Mauro Palmas scenografia: Antonia Rubeo, costumi: Raffaele Ballore, interpreti: attori non professionisti, pastori e abitanti del posto, origine: Italia 2003

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