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La dolce arte di esistere

Pubblicato il 9 aprile 2015 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


La dolce arte di esistere

Osare, rischiare, scomparire. E scegliere di farlo nella maniera più sfrontata possibile: scherzandoci su. Chi osa e rischia è Pietro Reggiani, classe ’66, figlio di Stefano Reggiani, stimata penna critca de La Stampa in campo cinematografico, che scrive e dirige un film dai toni irriverenti, sarcastici, scherzosi, nonchè crudelmente analitico. Chi scompare sono i due protagonisti, Roberta e Massimo (interpretati rispettivamente da Francesca Golia e Pierpaolo Spollon, giovani occhioni ricolmi d’amore per il loro mestiere): i due adolescenti crescono in città diverse, in ambienti familiari speculari (i genitori di Roberta troppo distanti, quelli di Massimo eccessivamente ossessivi) e, dotati di un carattere mite e introverso, sviluppano con il passare degli anni una patologia psicosomatica che permette loro di scomparire (letteralemte), in situazioni di grande disagio. Sarà il caso a farli incontrare, ma la convivenza tra due persone così simili non sfocerà da subito in un rapporto idilliaco. C’è un minimo comun denominatore alla base de La dolce arte di esistere: il coraggio. A quello dei due protagonisti che non si danno mai per vinti, desiderosi di sopraffare le proprie debolezze, si unisce quello di Reggiani che si impegna in una lunga e faticosa prima fase di scrittura, per poi spostarsi sul set con pochissimi fondi e tanta dedizione: la gestazione de La dolce arte di esistere comincia nel 2012 e proseguirà a piccoli passi, non senza più di qualche problema legato all’organizzazione tecnica. Quel che ne vien fuori è un lavoro intimo, sicuramente indipendente, raccontato attraverso un punto di vista poco convenzionale nel cinema d’oggi, uno sguardo satirico e (a tratti) cinico sulla condizione delle nuove generazioni, delle loro paure, ansie, speranze e realtà; grazie all’aiuto dell’esperto Carlo Valli (voce storica del compianto Robbie Williams), Reggiani trova la voce narrante adatta per catturare l’attenzione dello spettatore, un Virgilio invisibile in grado di leggere con verve sarcastica le storie dei due protagonisti. Purtroppo, superata la sorpresa iniziale, il regista veronese finisce inesorabilmente per calcare la mano sugli strumenti tecnici che fungono da impalcatura per la sua opera: la voce narrante viene inserita in ogni stacco, utilizzata per introdurre ogni singola seuqenza ed è questo il grande passo falso di Reggiani, che trasfigura l’essenza filmica del suo progetto, fin quasi a scavalcare le performance attoriali, vestendo il film con un didascalismo a tratti oppressivo, che non lascia posto all’interpretazione dello spettatore, avendo quasi l’impressione di sfogliare un libro figurato per ragazzi. In più i novanta minuti di proiezione risultano eccessivamente dilatati, sensazione accentuata dalla presenza di alcune sequenze piatte e ripetitive, che annacquano il ritmo narrativo. Insomma, La dolce arte di esistere è un film che punta fortemente su una costruzione originale e sorprendente, ma che finisce col diventare in mezzo giro d’orologio una sorta di parodia documentaristica e, purtroppo, si fa fatica a prenderlo sul serio. Ed è un vero peccato, perchè le intenzioni di realizzare un’opera fresca e intraprendente c’erano tutte, ma spesso al coraggio deve pur essere affiancata una certa predisposizione a scendere a patti con alcuni schemi fissi, classici, non per questo da snobbare, ma sempre utili per non alterare in modo grottesco l’essenza di una pellicola.


CAST & CREDITS

(La dolce arte di esistere); Regia: Pietro Reggiani; sceneggiatura: Pietro Reggiani; fotografia: Luca Coassin; montaggio: Erika Manoni; musica: Carlo Missidenti, Marco Furlani; interpreti: Francesca Golia, Pierpaolo Spollon, Anna Ferraioli Ravel, Anita Kravos, Pietro Bontempo, Beatrice Uber, Giuliano Comin; produzione: Adagio Film, Emmedue Videoproduzioni; distribuzione: Adagio Film; origine: Italia, 2015; durata: 96’


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