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LA GIURIA

Pubblicato il 8 gennaio 2004 da Mazzino Montinari


LA GIURIA

E’ fuor di dubbio che uno dei generi letterari e cinematografici più popolari sia il legal thriller. E che uno degli indiscussi protagonisti di questo filone sia John Grisham. Registi del calibro di Francis Ford Coppola, Alan Pakula, Joel Schumacher, James Foley, Robert Altman, con alterne fortune, hanno legato il loro nome ai libri di Grisham. L’ultimo in ordine di tempo è stato Gary Fleder con La giuria. Dopo aver trattato temi sociali come la pena di morte e il razzismo, e dopo aver messo in mostra il cinismo arrogante degli avvocati e la connivenza criminale tra politica, economia, giustizia e mafia, mancava all’appello una delle fasi cruciali del processo all’americana, la scelta dei giurati. Una selezione che avviene attraverso una sorta di processo preliminare nei confronti di individui che in poche battute devono dimostrarsi idonei ad emettere un verdetto.
La fiducia incondizionata nel giudizio espresso dalla giuria e dunque la scelta dei suoi componenti, sono tra gli elementi caratterizzanti del sistema giuridico americano. Il verdetto è affidato a dodici giurati che analizzano e discutono ciò che le parti in gioco, l’accusa e la difesa, esibiscono nel corso del processo. A decidere le sorti di un imputato sono il potere persuasivo degli avvocati, quello delle testimonianze e delle prove. E’ un gioco d’opinioni e parvenze nel quale non si dà alcuna coincidenza tra giustizia e verità. E non si può negare che tutto ciò non possegga una certa familiarità con il nostro essere quotidianamente soggiogati o sinceramente persuasi dalle apparenze. La giustizia americana, anche quella successiva all’11 settembre 2001 che ha partorito i disumani campi di prigionia allestiti durante e dopo la guerra in Afghanistan e Iraq, rispecchia le profonde ambiguità delle moderne democrazie occidentali, contenendo in sé tutti i vizi e le virtù, le evoluzioni e le involuzioni.
Diversamente dagli altri legal thriller di Grisham, La giuria mette da parte i temi più classici. E’ del tutto contingente che sotto processo sia un’industria accusata di vendere in modo indiscriminato armi sempre più sofisticate. Come è del tutto secondario ciò che avviene dentro il tribunale. L’attenzione è diretta altrove. Ad esempio nella stanza dei giurati, perché è in quel luogo austero che si decidono le sorti dell’imputato. Sembra esservi un esplicito rimando a quello splendido film di Sidey Lumet, La parola ai giurati, ma si tratta di un riferimento sommario perché le due pellicole non hanno molto in comune se non l’arte del protagonista di portare dalla propria parte gli altri compagni d’avventura. Come fuorviante è la presunta parentela con Bowling for Colombine, se non per l’unanime condanna al mercato delle armi.
I protagonisti assoluti sono gli esperti delle umane debolezze, coloro che sanno o credono (nessuno è immune dal potere persuasivo delle apparenze) di saper prevedere e manipolare il giudizio dei giurati. Sono uomini che cercano di ottenere il consenso attraverso gli strumenti della tecnologia odierna, forti di un potere economico e politico smisurato. Conoscono in modo profondo e diabolico il genere umano, sono astuti e cinici, e confidano in se stessi, fino al delirio di onnipotenza.
La battaglia senza esclusioni di colpi viene condotta dall’arrogante Rankin Fitch (Gene Hackman), l’esperto della difesa che piazza microfoni ovunque (La conversazione?) e che possiede e fabbrica dossier compromettenti e ricattatori al solo scopo di ottenere l’assoluzione del cliente. Dall’altra parte della barricata ci sono il giurato infiltrato Nicholas Easter (John Cusack) e la sua compagna e complice Marlee (Rachel Weisz) che accettano le regole imposte dall’avversario. In mezzo a contendenti così spregiudicati, si pone l’avvocato della parte offesa Wendell Rohr (Dustin Hofmann), idealista e spaesato di fronte al crollo di ogni eticità. Ed è attraverso gli occhi di Hofmann che vediamo perdere di senso il valore che più d’ogni altro dovremmo tenerci stretto: la libertà di convincere il prossimo della bontà di una giusta causa.
La giuria è un film solido, ottimamente girato e con senso del ritmo. Tuttavia, nella pellicola di Fleder succede qualcosa di analogo a quell’incontro di boxe nel quale il pugile che ha devastato di pugni l’avversario proprio nell’ultimo round rinuncia al colpo definitivo del ko. Dopo aver mostrato la degenerazione della società contemporanea, al momento di affondare l’ultimo colpo, Fleder si è arrestato e ha concesso al sistema un anticorpo: l’azione di un singolo individuo capace di riparare ogni falla. A Guantamano aspettano fiduciosi lo stesso anticorpo.

[gennaio 2004]

Cast & Credits:

regia: Gary Fleder; sceneggiatura: Brian Koppelman, David Levien, Rick Cleveland, Matthew Chapman dal romanzo di John Grisham; fotografia: Robert Elswit; montaggio: William Steinkamp; musica: Christopher Young; interpreti: John Cusack, Gene Hackman, Dustin Hoffman, Rachel Weisz, Bruce Davison, Bruce McGill, Jeremy Piven; produzione: Gary Fleder, Christopher Mankiewicz, Arnon Milchan; origine: Usa; durata: 128’; distribuzione: 20th Century Fox Italia.

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