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La grande scommessa

Pubblicato il 15 gennaio 2016 da Stefano Colagiovanni
VOTO:


La grande scommessa

Verso metà proiezione de La grande scommessa, compare sullo schermo una citazione che recita esattamente così: “La verità è come la poesia. E la maggior parte della gente odia la poesia.” La verità. Ecco su quale concetto è stato messo in piedi un film tanto complesso, quanto brillante: ogni inquadratura, ogni minimo gesto, ogni parola, ogni concetto è immolato all’appagamento della sete di sapere che risiede dietro la crisi finanziaria mondiale del 2008 (iniziata per ovvie ragioni sul calare del 2007), alla scoperta della verità che si nasconde tra le magagne dei più astuti e menefreghisti affaristi di Wall Street, artefici senza rimorso di un collasso finanziario che, insieme alla strage dell’11 settembre americano, rappresenta uno dei peggiori mostri del nuovo millennio.

La grande scommessa è, dunque, un film storico, mascherato da commedia brillante e ipercinetica nel montaggio sublime a opera di Hank Corwin, piastrellato da istantanee dai contenuti più disparati, necessarie per tratteggiare un contesto storico in continuo movimento (l’onda anomala commerciale della Apple e del suo IPhone, la guerra in Medio Oriente, l’America di Barack Obama), mentre sullo sfondo, si fa per dire, sibilano e strisciano i magnati di Wall Street. Tra loro c’è il geniale, ma sociopatico Michael Burry (interpretato da un Christian Bale ispirato e perfetto in ogni accenno di mimica) che, dopo aver analizzato una lunga lista di obbligazioni contenenti migliaia di mutui elargiti dalle banche ai cittadini americani per poter permettere loro di possedere uno o più immobili, comprende che nel giro di due anni lo stesso mercato immobiliare collasserà, provocando una voragine nella quale sprofonderà l’intera economia mondiale. Burry decide, così, di scommettere sul fallimento del mercato immobiliare, acquistando numerosissimi credit default swap dalle banche stesse, che non fanno altro che accettare, deridendo tale operazione. Va a finire che le operazioni di Burry attirano l’attenzione di altri individui attivi nel campo finanziario, tra tutti Jared Vennett (un indemoniato Ryan Gosling) che propone al trader Mark Baum (a cui da corpo e anima uno straordinario Steve Carell, all’apice della sua carriera) e ai suoi soci di seguire il passo di Burry; nella stessa situazione incapperanno i giovani aspiranti broker Charlie Geller (John Magaro) e Jamie Shipley (Finn Wittrock), che chiederanno consiglio a Ben Rockert (Brad Pitt), un ex caimano di Wall Street, epurato dalla finanza per sua stessa scelta, poichè disgustato da quel mondo (Rickert è affetto da una vera e propria fobia per lo sporco, le malattie e tutto ciò che non pare ignienizzato e naturale, tant’è che sprona i due giovani a investire sulle sementi in ottica futura).

L’incalzante opera di Adam McKay, già abituato a una certa narrazione frenetica con la saga Anchorman, trae spunto dal romanzo-inchiesta The big short: Inside the doomsday machine, scritto da Micheal Lewis, imbastendo un documento visivo veritiero e spaventoso: tutto nasce da un’intuizione geniale e, sulla basa di questa, il film ricorstruisce con perizia e sperimentazione le indagini finanziarie relative allo status quo del mercato immobiliare americano a opera dei protagonisti Carell e soci, alternando micro-climax rivelatori, a pause riflessive di introspezione psicologica tanto leggere nella resa scenica, quanto esaustive e necessarie per realizzare un racconto di personaggi stratificato e solido. Non a caso si è parlato di sperimentazione, poichè La grande scommessa, oltre a essere un film di denuncia, si impone come digressione metacinematografica: lo scopo della sceneggiatura scritta da Adam McKay e Charles Randolph, intrisa di complessi termini e sfumature finanziarie, è unicamente quello di confondere sempre più le idee dello spettatore, operazione affatto intesa in senso negativo, ma addirittura didattico; così come le banche confondono gli investitori sul destino dei loro risparmi, smuovendo le torbide acque delle loro menti preoccupate con valanghe di termini in “economichese” (pressappoco come usano fare i politici, parlando in “politichese”), La grande scommessa tenta di spiegare, utilizzando le stesse armi impugnate per distruggere i sogni di milioni di risparmiatori e, a onor del vero, ci riesce eccome, spezzando la narrazione con interventi fuori campo di alcuni personaggi famosi (superlativa la sequenza in cui Margot Robbie, immersa in una vasca da bagno, spiega cosa siano gli swap, mentre sorseggia dello champagne, e sfida chiunque, signore a parte, ad affermare di aver compreso la lezione, tutti intenti a fissarne labbra, gambe e dita affusolate).

Insomma, La grande scommessa è un successo totale, un connubio perfetto tra finzione e realtà, un documentario mascherato da commedia effervescente, sorretto da un cast magniloquente. Non c’è alcuna sbavatura, nessun angolo buio da rischiarare. Solo la triste consapevolezza di essere stati gabbati da un sistema ai più incomprensibile e, per questo, inarrestabile. Adam McKay ha avuto coraggio e questo gli rende onore. La grande scommessa fa venire le lacrime agli occhi, sia per la raffinata e incisiva grandeur artistica, sia per la crudele verità che racconta. Un film da Oscar.


CAST & CREDITS

(The big short); Regia: Adam McKay; sceneggiatura: Adam McKay, Charles Randolph, Micheal Lewis; fotografia: Barry Ackroyd; montaggio: Hank Corwin; musica: Nicholas Britell; interpreti: Christian Bale, Ryan Gosling, Steve Carell, Brad Pitt, John Magaro, Finn Wittrock; produzione: Plan B Entertainment; distribuzione: Universal Pictures Italia; origine: U.S.A., 2015; durata: 130’


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