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La guerra dei Fioroni rossi

Pubblicato il 12 settembre 2007 da Alessandro Izzi


La guerra dei Fioroni rossi

Le dichiarazioni di intenti ci sono state e sono state forti. Soprattutto si sono condensate in una formula di lapalissiana semplicità: da quest’anno, a scuola “più grammatica, più tabelline, meno inglese e meno informatica”.
Con questo slogan il ministro Fioroni ha rilanciato l’anno scolastico, lasciando intendere che, dopo la piccola riforma dello scorso anno all’esame di maturità (un sostanziale passo indietro che non fa ritornare, comunque, al punto di partenza prima dello scempio istituzionale operato dal precedente ministro Moratti), questo è l’anno di un drastico ripensamento dell’insegnamento nelle scuole. L’idea sarebbe quella di partire dal dato concreto: checché se ne dica in giro, in Italia viviamo la piena di una sorta di nuovo analfabetismo di ritorno. Oggi come oggi i ragazzi non sanno più scrivere, non perdono tempo a leggere e riescono appena a far di conto. Diventano sempre più come gli adolescenti stigmatizzati da Moore nei suoi documentari: incapaci, come il loro presidente, di trovare un paese come l’Iran sulle cartine geografiche. Non hanno più memoria storica e, del resto, anche a sventolargliela di fronte, non saprebbero che farsene. La loro esistenza, concentrata ormai su valori buonisti spesso assai discutibili, si definisce sulla linea di una società le cui massime aspirazioni variano tra la carriera di velina e quella di calciatori. Figure presto unite in matrimonio dai tabloid scandalistici e dalle riviste per ragazzi. La televisione, ormai definitiva maestra di vita, insegna tutto quel che c’è da insegnare: dalle trasmissioni di cucina (che spopolano, ormai anche nei TG) ai telequiz a risposta multipla.

Dietro la formula di Fioroni più che un ulteriore passo indietro ad una scuola più severa e, anche, nozionistica, si nasconde il senso del fallimento culturale di un’intera epoca. Lo slogan “più grammatica, meno informatica” che non può non apparire inattuale in un mondo come il nostro dominato dalla cultura del PC e definitivamente consacrata solo a quelle persone che sanno davvero parlare inglese, sembra essere un disperato tentativo di salvare il salvabile. Incapace, ormai, di seguire i ragazzi in un mondo divenuto frammentario e contraddittorio, la principale preoccupazione della scuola secondo Fioroni dovrebbe essere quella di dare almeno le basi “imprescindibili” del sapere. Con il nuovo progetto scolastico si ritorna, insomma, a quel periodo in cui unica preoccupazione dei docenti doveva essere quella di insegnare a scrivere e a far di conto. Un altro passo indietro che non è, comunque, un ritorno al punto di partenza a prima che la scuola italiana si guardasse intorno e decidesse che il modello fondamentale cui ispirarsi non era la Montessori, ma la scuola americana con la pubblicità dei cosmetici dentro i libri di biologia e con il più alto tasso di ignoranza al mondo.

Il problema principale del “giro di vite” proposto dal ministro Fioroni non è tanto nei contenuti, che sono in ogni caso spesso abbastanza discutibili, ma sta nel suo paternalismo preoccupato che vorrebbe farci tornare non nell’era dei padri, ma in quella dei nonni. È vero, infatti, che i ragazzi devono reimparare a scrivere (e si ritorni una buona volta ai sani vecchi temi in cui un ragazzo era obbligato prima di tutto ad esprimere se stesso attraverso le parole e, quindi, a conoscersi!), ma è anche vero che la società contemporanea è troppo sfuggente ed ambigua perché ci si possa fermare alla sola grammatica e alle sole moltiplicazioni. Il problema della scuola anche nel pieno della riforma Moratti che, pure, si diceva aperta al mondo contemporaneo, era che risultava troppo “distante” dal vissuto dei ragazzi. In un’Italia in cui il nucleo familiare si sgretola dietro l’orrore del non riuscire ad arrivare alla fine delle mese, la Scuola non riesce più a porsi come valida alternativa alla famiglia. Una iato insanabile si è creata tra Società, Scuola e Ragazzi e questo in virtù del fatto che la seconda non è più in grado di mediare tra la prima e i terzi. Ha, di fatto, perso la sua funzione storica, non riesce più a fornire ai discenti gli strumenti per interpretare il mondo che li circonda. E questo non solo perché la stragrande maggioranza dei docenti è inetta (Woody Allen diceva già anni or sono che chi non sa far niente insegna e chi non sa insegnare insegna educazione fisica), ma perché l’intero sistema è malato. Sembra che nessuno voglia rendersi conto del fatto che se è vero che la televisione ha sostituito Scuola e Famiglia nell’apprendimento dei valori, allora l’unica riforma dell’insegnamento che possa dirsi davvero sensata deve partire, prima ancora che dalla grammatica, dal risvegliare la sopita capacità critica dei ragazzi nei confronti del sistema televisivo.

La nostra adorabile sinistra che fa della campagna contro il conflitto di interessi berlusconiano uno dei suoi vessilli più convinti e che addita nel monopolio televisivo uno dei mali fondamentali della nostra epoca, a conti fatti sta perdendo un’ennesima occasione d’oro per cominciare a curare il problema alla sue basi: nella coscienza di quei ragazzi che saranno la società di domani. L’insegnamento dei linguaggi non verbali (cinema, musica, TV), paradossalmente promosso più dal precedente governo che non da questo, diventa definitivamente una delle ultime preoccupazioni della riforma del sistema scolastico. E poi ci si sorprende e ci si indigna se i ragazzi riprendono i loro atti di bullismo coi videofonini e li riversino direttamente su Youtube! E ci si indigna male perché non si vuole capire che il nocciolo del problema non sta tanto e non solo nell’atto bullistico in sé quanto nella sua desiderata, necessaria “trasformazione” in immagine, nella sua riduzione a piccolo spettacolo televisivo che poi passerà per internet. Quei linguaggi (non solo quelle tecnologie) che la scuola di Fioroni si rifiuta di voler insegnare seriamente e che restano ancora relegati a quei progetti extra scolastici, a quei cineforum organizzati dagli studenti, a quelle attività che lo stesso ministro consiglia di tagliare e sulla cui validità sarebbe da scriverci interi volumi di sana polemica.

Intanto un altro anno è passato senza che si muovesse un dito per risolvere gli snodi importanti della professione di insegnanti. Il mare di pensionamenti di quest’anno chiude in gloria un’intera epoca della Scuola italiana. Al varco aspettano precari inaciditi dalla paura di non poter andare in pensione (e la classe docente italiana è la più vecchia d’Europa: la contraddizione in termini di una professione che dovrebbe essere sempre giovane). Docenti che si imbarcano in una professione che nessuno più vuol fare veramente visto che è la televisione stessa ad insegnar loro che non è più neanche possibile bocciare uno studente che va male. Ci aspetta, nella migliore delle ipotesi, il ricorso, un attentato dietro il primo vicolo oscuro, nella peggiore.


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