X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



LA LOCANDA DELLA FELICITA’

Pubblicato il 23 ottobre 2002 da Giovanni Spagnoletti


LA LOCANDA DELLA FELICITA'

È passata molta acqua sotto i ponti da quando nel 1987 Sorgo rosso vinceva al Festival di Berlino l’Orso d’oro, inaugurando - o meglio ufficializzando in Occidente - la (ri)nascita del cinema cinese. Ma soprattutto è passato il tempo in cui Zhang Yimou realizzava melodrammi belli ma un po’ turistici, tipo Lanterne rosse, in cui riusciva a smerciare all’estero, come fossero delle squisite “cineserie” d’altri tempi, prodotti scintillanti ma forse troppo perfetti e levigati. O meglio: di primo acchito splendidi e luccicanti ma poi alla lunga un po’ stucchevoli e vuoti. Da un po’ di tempo a questa parte, invece, il grande filmmaker di Xi’an, pur non abdicando ad uno stile alto ma intimamente classico, sembra aver cambiato registro, aver abbandonato il ruolo del cantore ufficiale della Cina ufficiale, per offrirci opere probabilmente meno polite e “hollywoodiane” ma anche più sentite e ruvidamente vicine alla vita. È come se Zhang Yimou - faccio un paragone veramente irriverente ed azzardato - fosse diventato meno Visconti e più Rossellini, senza perciò implicare un giudizio di valore immediato su questo mutamento. Tutto ciò, a meno di non considerarlo un passeggero “incidente di percorso”, ci viene confermato dalla sua ultima fatica, La locanda della felicità, che batte bandiera cinese ma ha alle spalle i mezzi della potente 20th Century Fox. Ed invece questo ultimo film, ancor meno dei precedenti non particolarmente fortunati al box-office, non esibisce nessuna delle caratteristiche folkloristiche per compiacere al grande pubblico fuori dalla Cina. Addirittura gli “attrezzi” del melodramma classico - come la presenza di una protagonista cieca - qui vengono completamente “spuntati”, per lasciar posto invece ad un film poco appariscente e sentito, ad una strana commedia sociale che nell’affrontare l’insondabilità della situazione presente parla nella lingua cifrata della commedia di costume. Tra gag surreali, paradossi spiazzanti e saggezza popolare contadina, Zhang Yimou, infatti, ci cala nelle contraddizioni del suo paese, senza concedersi il lusso della facile scorciatoia o il gusto di compiacere al pubblico internazionale. Raccontando la parabola di un vecchio voglioso di sistemarsi e di una bella ma povera ragazza cieca, il filmmaker cinese sembra sposare la causa della solidarietà comunitaria e del rifiuto delle sirene del capitalismo consumista, esibendo la realtà di questa strana, sempre più ermetica e incomprensibile Cina d’oggi - senza sermoni propagandistici né dito puntato ma con la semplice arma delle ragioni del cuore. Un motivo in più per augurare al “nuovo corso” di Zhang Yimou buona fortuna.

[ottobre 2002]

regia: Zhang Yimou sceneggiatura: Gui Zi dal racconto Shifu, yue lai yue youmo di Mo Yan fotografia: Hou Yong montaggio: Zhai Ru musica: San Bao scenografia: Cao Jiuping interpreti: Zhao Benshan, Dong Jie, Li Xuejian, Gong Jinghua, Dong Lihua, Fu Biao, Leng Qibin, Niu Ben, Zhang Hongjie, Zhao Bingkun produzione: Zhao Yu, Edward R.Pressman, Terrence Malick, Wang Wei per Guangxi Film Studio origine: Cina 2001 durata: 96’

Enregistrer au format PDF