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La Mummia

Pubblicato il 11 giugno 2017 da Alessandro Izzi
VOTO:


La Mummia

Un paesaggio desertico. Tra la sabbia un brandello di muro con appena un paio di colonne dello stesso colore del silenzio tutto intorno. In mezzo una statua raffigura forse un animale. Pezzi di mosaico di un passato che si sbriciola da solo.
Poi arrivano dei soldati, rumorosi e incomprensibili. Sgommano davanti al pezzetto Storia, perché i cattivi in genere questo fanno: sgommano. Quindi prendono a mitragliare la pietra aspettando che le schegge tolgano forma ad ogni ricordo. L’ISIS all’opera. Fanatismo religioso che ha diritto d’espressione, nei buchi del nostro immaginario, solo come ombre, urla concitate in una lingua che nessuno mai potrà capire e spari, tanti spari.
Alla fine il controcampo ed ecco l’Occidente che guarda. Dal binocolo. Distanza di sicurezza di una visione che va un poco corretta. A guardare sono non certo due stinchi di santo. Due tombaroli, piuttosto. Due simpatiche canaglie che vanno di antichità in antichità, stando sempre un passo davanti al fanatismo, per rubare il rubabile aspettando che passino poi i miliziani a coprire ogni loro traccia.
In questa coppietta di inquadrature si brucia un cortocircuito di senso che dice molto dell’operazione portata avanti da Alex Kurtzman per questo nuovo La Mummia, primo vagito dell’oscuro Dark Universe condiviso della Universal che vorrebbe servirci, a cadenza da cinecomic, in uno stesso piatto mummie e vampiri, licantropi e mostri della laguna nera, tutti in salsa dottor Jeckyll e Van Helsing (il vecchio film di appena qualche anno fa, è di fatto, un apripista).
Nel contrasto tra il ricordo dell’attualità e la figura romantica del cinema per cui il tombarolo ha il turbante come un beduino anche se sotto porta la divisa dell’esercito regolare degli Stati Uniti (che stanno lì a portare che cosa? Libertà? Democrazia? Non c’è traccia di slogan per tutto il film il che è un segnale importante), si consuma la prima di tutta una serie di contrapposizioni non risolte che sono alla base dell’operazione. Realtà e finzione? Finzione e finzione? Film d’avventura e horror? Telegiornale e cinema?

Inutile porsi troppe domande. Anche perché l’incalzare dell’azione reclamerà presto le sue vittime e la prima a cadere sarà proprio la capacità di discernere.
In fondo la regola principale del crossover è proprio questa: indipendentemente dalle storie, indipendente dagli archetipi, prendere pezzi di immaginario e incollarli insieme è prima di tutto lavorare sulle immagini, non sul loro significato. E i miliziani ISIS sono, in questa prospettiva, esattamente come gli Indiana Jones un po’ canaglie che incontriamo a inizio film: pezzi di immagine da assemblare nell’attesa che l’effetto Kulesov faccia il resto.
Non deve poi stupire che, entrati nel laboratorio del dottor Jeckyll, si trovino in teca un teschio di vampiro e una zampa di anfibio proveniente dalla laguna nera, un chiodo del collo di Frankenstein e chissà che altro tutto insieme a reclamare un dettaglio diverso per la visione di ogni singolo spettatore del film.
Come a dire: intanto facciamo il minestrone, sarà poi la temperatura di cottura a definire il giusto amalgama.

Peccato che poi La Mummia cuocia a fuoco troppo lento per cui, mangiando l’intruglio insieme ai pop corn succede che ci si trovi ad addentare pezzi di commedia mal riuscita, frammenti di gotico senza estro visionario e consistenti impressioni di deja-vu.
Così la storia della principessa dimenticata dalla storia, che voleva riportare in terra il dio vivente Seth, con potere della vita sulla morte finisce per zoppicare, ma in scivolata, come la sua camminata un poco zombie e un poco Thriller di Michael Jackson. E da lì, poi, giù a rubacchiare, pardon citare, da vecchi film del passato: il bacio che succhia vita ripreso da Space Vampires di Tobe Hooper, gli zombie affamati nei condotti della metro da un Romero qualsiasi e anche il laboratorio ultratecnologico ma vittoriano dal già citato Van Helsing.
Altri frammenti di immaginario da incollare finché c’è colla nell’astuccio, nella speranza che il troppo soddisfi ogni palato e peccato che da tutto questo tanto finisca quasi per mancare proprio La Mummia con il sublime Karloff e le sue ombre espressioniste: una storia delle origini (come si confà ad ogni buon fumetto), in cui quello che resta sepolto è proprio il sarcofago più antico.
In fondo, a visione di film ultimata, ci sorprende la considerazione che sui fumetti Marvel l’idea di universo condiviso funzioni perché è proprio di quell’universo estendersi e allargarsi, è la precondizione stessa di quel semplice narrare.
Applicare questa regola al DC già funziona male, riportarla a un brand vago come quello dei grandi mostri del cinema è suicida. Perché certo posso far incontrare Dracula con Gianni e Pinotto, ma non posso aspettarmi che ne venga fuori un film fatto e finito.
Un divertimento forse, un universo chissà, sicuramente qualcosa di assolutamente non necessario.
Nella sua ora e quarantacinque, infatti, La Mummia è spesso imbarazzante, qualche volta un invito allo sbadiglio, quasi sempre una corsa dello sguardo all’orologio in attesa della fine.


CAST & CREDITS

(The Mummy); Regia: Alex Kurtzman; sceneggiatura: David Koepp, Christopher McQuarrie, Dylan Kussman; fotografia: Ben Seresin; montaggio: Gina Hirsch, Paul Hirsch, Andrew Mondshein; effetti speciali: Dominic Tuohy; musica: Brian Tyler; interpreti: Tom Cruise (Nick Morton), Sofia Boutella (Ahmanet), Annabelle Wallis (Jenny Halsey), Russell Crowe (Dr. Henry Jekyll), Jake Johnson (sergente Vail), Courtney B. Vance (colonnello Greenway), Marwan Kenzari (Malik), Javier Botet (Set), Selva Rasalingam (re Menehptre), Dylan Smith (Lorenzo Montanari), Rez Kempton (Foreman), Chasty Ballesteros (Kira Lee), Peter Lofsgard; produzione: Sean Daniel Company, Secret Hideout, Universal Pictures; distribuzione: Universal Pictures; origine: USA, 2017; durata: 107’


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