La Mummia - La tomba dell’imperatore dragone

Scrive Bourget: ‘Il cinema d’avventura aspira a diventare adulto? Gli eroi che esalta sono quasi sempre figure di ribelli, ma è il cinema d’avventura in quanto tale che si è da sempre collocato in una sorta di irriverente marginalità estetica e ideologica nei riguardi di una produzione dominante più seria e accademica. Esso è legato ai ricordi d’infanzia, ai sogni d’evasione, ma anche a una sorta di gratuità, poiché se venisse strutturato in modo troppo filosofico o politico, perderebbe il suo specifico carattere avventuroso. Per questo ha preso la strada dell’arte popolare, dei generi minori.’
Leggere queste righe prima della visione del terzo episodio de La Mummia serve se non altro a sgomberare la mente dai dubbi: non bisogna aspettarsi troppo da un genere che negli ultimi anni, oltre al King Kong di Peter Jackson ha prodotto pellicole rivolte più a un pubblico di bambini-consumatori che a semplici spettatori.
Nel 1999 fu proprio il primo remake della serie della Mummia, firmato da Stephen Sommers, a salvare la Universal dal baratro finanziario in cui stava sempre più crollando a causa del flop di Waterworld. La major fondata da Carl Laemmle nel 1912 da sempre ai vertici delle produzioni statunitensi sforna un nuovo episodio della fortunata e sempre più stantia serie di avventure con mummie protagoniste. Novità più interessante rispetto ai due predecessori blockbuster, oltre all’ambientazione cinese, la spettacolarità di combattimenti, che avvengano con la spada o con le mani nude delle arti marziali. L’impressione è che troppo spesso l’azione in sé prende il sopravvento sullo spirito di avventura, sull’innata curiosità dell’uomo verso il suo passato. Poche infatti le scene di ambientazione archeologica, che mettono in risalto il gusto per la scoperta, il sapore della polvere millenaria, l’amore per " i coccetti". La regia “nervosa” fa muovere la macchina da presa con vorticosa mobilità, ora ravvicinando i personaggi, ora allargando in panoramiche che abbracciano le legioni di guerrieri-morti viventi centuplicati al computer. La stessa figura dell’imperatore, con un Jet Li utilizzato a mezzo servizio, compare in poche, sonnifere scene, tra cui un inseguimento tra le vie di Shangai che non ha il sapore dello slapstick né la parvenza di avventura. Non valgono alcuni aces in the hole, come la presenza di yeti giganti buoni da mercoledì da leoni, machi e un poco zuzzurelloni. Ed è proprio in una figura come quella del fool che il film si arena nella prevedibilità e nella ragnatela della noia. Scene, movenze e battute del personaggio di Jonathan (John Hannah) non si elevano mai a vero contraltare ironico alle scene del pericolo. Se un film d’avventura non può nemmeno appoggiarsi un pizzico all’ironia e deve raschiare il barile con inutili, estenuanti scene di ricongiungimento famigliare, qualcosa non funziona. Si sente odore di spreco per una produzione che investe tanto in magnifiche e sontuose scenografie, dalla tomba dell’esercito di terracotta alla leggendaria città di Shangri-la, firmate da uno specialista di kolossal come Nigel Phelps, già giovane assistente art director sul set di Full Metal Jacket. A volte pare di assistere a uno spot di Gardaland, in cui le suddette scenografie curatissime, realistiche e kolossali servono a catturare l’attenzione e a distogliere dalla mancanza di idee, ma di certo i più piccoli non potranno che divertirsi di fronte a yeti, armate di scheletri (ah, le armate delle tenebre…), draghi, valanghe, esplosioni, fonti di vita eterna…
Si è spesso discusso su un genere, quello dell’avventura, che potrebbe gradualmente aspirare a un cinema post-coloniale, meno sicuro della superiorità della cultura occidentale o meglio anglo-americana. Ma anche se Rob Cohen si dichiara un grande amante della storia asiatica e cinese, anche se inscena un amore transculturale tra i due giovani, non sembra mirare troppo a “delocalizzare” il “giusto” dai soliti perimetri geografico-culturali. Olimpiadi che vai, location che trovi. Il cinema focalizza dove punta il marketing e se un Panda cinese impazza nella torrida estate dei giochi olimpici, anche il cinema d’avventura si adegua, spostando il mirino dall’Egitto dei faraoni alla Cina degli imperatori. Con i giochi a Londra del 2012 ci attendiamo una mummia british, magari da Stonehenge, anche se, da provinciali, preferiremmo una mummia etrusca di Cerveteri.
Carlo Dutto
(The Mummy. Tomb of the Dragon Emperor) Regia: Rob Cohen; sceneggiatura: Alfred Gough, Miles Millar; fotografia: Simon Duggan; scenografia: Nigel Phelps; montaggio: Joel Negron, Kelly Matsumoto; interpreti: Brendan Fraser (Rick O’Connell), Maria Bello (Evelyn Carnahan O’Connell), Jet Li (Imperatore), John Hannah (Jonathan Carnahan), Russell Wong (Ming Guo), Liam Cunningham (Rick “Mad Dog” Maguire), Luke Ford (Alex O’Connell), Isabella Leong (Lin), Michelle Yeoh (Zi Yuan); produzione: Sommers Company, Alphaville per la Universal Pictures; distribuzione: Universal; durata: 112’; origine: Usa, 2008; webinfo: www.lamummia-latombadellimperatoredragone.it
