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LAISSEZ PASSER

Pubblicato il 18 ottobre 2002 da Giovanni Spagnoletti


LAISSEZ PASSER

Malgrado che il delicato periodo 1939-45 sia stato nel 2002 molto di moda sugli schermi transalpini (dal serio Amen di Costa-Gravas alla commediola di Gérard Jugnot Monsieur Batignole), da sempre i francesi hanno avuto una certa difficoltà a raccontare un periodo doloroso della loro storia, quello della collaborazione con la Germania nazista. Si è dovuti aspettare sino al 1974 con il provocatorio Nome e Cognome: Lacombe Lucien del compianto Louis Malle perché venisse messo in dubbio la peregrina ma comoda idea che in ogni francese del governo di Vichy si nascondesse un resistente attivo o passivo e che quindi alla fin fine nessuno si era mai compromesso con i nemici tedeschi. Bertrand Tavernier riprova a narrare quegli anni difficili, gravidi di impegnative decisioni morali, raccontandoci il mondo del cinema francese sotto l’Occupazione e in particolare le vicende della “Continental”, una ditta tedesca che per la direzione di Alfred Greven cominciò a produrre dal 1940 film francesi. Collaborare con i tedeschi o darsi alla macchia? Questa l’alternativa che si pone alle due principali figure messe in scena da Laissez-passer, il giovane aiuto-regista Jean Devaivre (Jacques Gamblin) e il brillante sceneggiatore Jean Aurenche (Denis Podalydès), entrambe note figure realmente esistite - quest’ultimo, in particolare, è passato alla storia per essere stato negli anni Cinquanta il bersaglio prediletto di Truffaut “giovane turco” dei “Cahiers du Cinéma” e quindi di essere stato l’involontaria “levatrice” della “politica degli autori”. Seguendo il destino di queste due figure storiche e quello di tanti altri cineasti d’epoca come Maurice Tourneur, Bertrand Tavernier, in una persino eccessiva esibizione di stile, facendo un gran spreco di carrelli e di piani sequenza a la Ophüls, cerca di dare risposta a quel grande interrogativo morale, in un’opera di ben tre ore che ha profondamente diviso, per il suo assunto e le sue valutazioni, la critica francese. Soprattutto perché lo scopo neanche troppo segreto del discontinuo ma sanguigno regista di Lyon non è stato quello di sostituirsi allo Storico né tanto meno quello, grottesco, di rivalutare il fascismo, quanto invece di salvare una parte del cinema francese da lui tanto amata, quella della cosiddetta “tradizione di qualità” così vituperata e sbeffeggiata da Truffaut e dalla Nouvelle Vague. In questo senso più per la sua costosa ricostruzione dell’epoca di Vichy, il suo stile fastoso ed oliato, la bella interpretazione degli attori (in primis Jacques Gamblin premiato con al recente Festival di Berlino con un Orso d’argento), la non indifferente lunghezza, in poche parole per l’esibizione di grandeur cinematografica francese, Laissez-passer andrebbe considerato come se fosse un saggio in pellicola di Storia del Cinema. In una battuta: il proseguimento degli studi e degli amori dell’ex-critico Taviernier, tanto lontani dalle idee e dalle polemiche dei “tagliatori di teste” dei “Cahiers du Cinéma”, concretizzatosi in un film militante e schierato. Ma anche forse a guardarlo bene nel fondo, un po’ “revisionista” o peggio, per usare un orrendo neologismo giornalistico: “buonista”. Una ragione in più per andarlo a vedere e discuterlo.

[ottobre 2002]

regia: Bertrand Tavernier sceneggiatura: Jean Cosmos e B.T dai ricordi di Jean Aurenche e dalle memorie di Jean-Devaivre fotografia: Alain Choquart montaggio: Sophie Brunet musica: Antoine Duhamel scenografia: Emilie Ghigo interpreti: Jacques Gamblin, Denis Podalydes, Marie Gillain, Charlotte Kady, Marie Desgranges, Maria Pitarresi, Ged Marlon, Philippe Morier-Genoud, Laurent Schilling, Christian Berkel, Richard Semmel, Oliver Gourmet, Philippe Saïd produzione: Alain Sarde, Frédéric Bourboulon per Les Films Alain Sarde e Little Bear (Paris)/KC Medien (München)/Vertigo (Madrid)/ France 3 Cinéma e France 2 Cinéma (Paris) origine: Francia/Germania/Spagna 2001 durata: 170’ distribuzione: Bim web info: www.laissez-passer-lefilm.com; www.bimfilm.it

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