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LE CROCIATE

Pubblicato il 18 maggio 2005 da Edoardo Zaccagnini


LE CROCIATE

In un villaggio del Nord della Francia ha da poco cominciato a nevicare. Lo spettatore trova l’atmosfera interessante e inizia a prendere fiducia. La sua diffidenza non è caratteriale ma dovuta alle insopportabili emozioni che rimembra ancora Soldato Jane. Mentre i colori del cielo promettono tempesta egli ha smesso di tremare e pare accogliere con favore la variante medioevale del road-Movie dell’ispanico “dagli occhi di ghiaccio”: già pregusta la prima avvincente, boschiva, realistica battaglia. Gli vengono in mente anche la Scozia di Highlander e quella più giovane di Braveheart, ma in questi tempi di Europa unita e piccolina sa che il paesaggio è destinato a cambiare e un sole fortissimo a bruciare la pelle del protagonista. Lo spettatore è consapevole che prima o poi gli proporranno la storia “d’amore e un solo amplesso”, la sofferenza atroce e il trionfo morale del protagonista, ma preferisce stringersi attorno alla speranza di un crepuscolo d’oltralpe pregando Iddio che il viaggio verso le sacre terre di Gerusalemme sia almeno, sfruttando musiche e paesaggi, una passeggiata fuori porta. Confida in un paio tra brividi e sorprese, in qualche schizzo che sembri vero, sognando segretamente di centrare il messaggio subliminale di quest’ultimo Big Mac. Quasi subito però, salta fuori il maniscalco. Ora, con tutto il rispetto e la simpatia per la categoria, che un maniscalco, salutati fuoco e neve del villaggio, diventi condottiero illuminato, politico geniale, lottatore inesauribile, amante discreto, cristiano senza macchia, e quasi Re, oltre ad allontanare lo spettatore da una mimesi indispensabile, lo obbliga a chiedersi perché tante risorse fossero finite dentro un’officina baraccata, in un postaccio dimenticato dal signore. Sono i grandi misteri del cinema americano, quello dei supereroi capaci di cambiare il mondo, dei tipi fissi e gommosi contro corrente fino alla radice dei mali e ai cardini della cultura che li ha prodotti. E’ il cinema dei santi salvatori pronti a tutto per garantirsi una domenica in pace con la moglie fedele, il giardino fiorito e un mondo migliore a cui pensare dopo aver tagliato l’erba. Il cinema del self-made superman fuso con i valori della middle-class e reso inattaccabile da quella stupenda, maledetta frase di John Ford: “ Io non racconto la Storia, racconto il mito”. Ovvero l’insieme di tutti i desideri di un popolo e tutte le paure compresse, mascherate, sparate attraverso un racconto che poggia su date, nomi e battaglie. Mito e storia cavalcarono insieme dagli albori per reinventare un senso al genocidio degli indiani, alla guerra di secessione, al Vietnam o alla Somalia. Scott rispetta date e accadimenti, li lega tra loro in un’impalcatura robusta affinchè le cavalcate di Orlando Bloom e della bellissima signora Green siano sicure come la riuscita economica del film. Oggi ogni mito è buono per fare cinema. Straordinari pittori e valorosi condottieri, rivoluzionari religiosi e antiche città si alternano sugli schermi di tutto l’occidente e le diverse cadute di Cristo e Hitler lasciano pensare che si navighi verso la fine di ogni tabù. Tutto fa cinema e quel genere che celebra prima di tutto il mito di se stesso si avvale, in questo momento, del fenomeno storico delle crociate. Ricicla stancamente i modelli classici dell’eroe e dell’antieroe, mantiene inebetite le masse colorate, stavolta impolverate, e gli concede solamente quel penoso e corale urlo di approvazione finale. L’eroe ringrazia il popolo ma ce l’avrebbe fatta comunque. Stacca un fante dal tessuto, come un fosse un chicco d’uva e in un attimo lo rende diverso, individuo come lui. Lo lancia verso nuove possibilità, gli definisce i contorni e i colori, gli dice va! e prova a diventare come me che sono un mito. Il fante invece è la storia e si tiene il mito che gli propongono. Questa volta è un’altruista e parla facilmente con gli infedeli. Spiega al fante l’uguaglianza del diverso, e come certi antichi e maledetti sentimenti siano alla base delle guerre e delle morti. Gli insegna che la diversità culturale da sola non uccide e che il male è dentro ogni uomo, e ogni cultura, come c’è il bene. Il fante ascolta, attento, come un alunno elementare o il lettore di un romanzo per ragazzi. L’eroe non parla di economia, di sviluppo, di politica: quella è storia e lui è un mito, che però sancisce senza esitazione che chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato. Il mito lancia il sasso e nasconde la mano. E’ tempo di ricostruzione oggi laggiù, è tempo di raccolto. Una bella dichiarazione di concorso di colpa, un pensierino gentile alla cultura araba, e poi , alleggeriti del fardello della santità, si dà avvio alla seconda fase: dialogo, propaganda, e soprattutto riscossione del guadagno. Il maniscalco ha il sangue che gli cola dai capelli e il sorriso soddisfatto di chi ha lottato e vinto. Può tornare finalmente a casa, con la bella: ha reso il mondo migliore e Dio è con lui. Il suo mito ha camminato sulla storia e l’ha compiuta, ma non avrebbe mai il coraggio per ammetterlo.

[Maggio 2005]

regia: Ridley Scott, sceneggiatura: William Monahan fotografia: John Mathieson,montaggio: Dody Dorn musica: Henry Gregson-Williams, interpreti:,Orlando Bloom, Eva Green, Jeremy Irons, Brendan Gleeson. distribuzione: Medu

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