X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Le immagini al potere

Pubblicato il 28 novembre 2004 da Alessandro Izzi


Le immagini al potere

Ci sono domande inquietanti che aleggiano sui risultati delle Elezioni presidenziali americane da poco chiuse. Quanto può avere influito sul risultato la presentazione al pubblico del dvd del controverso Fahrenheit 9/11 di Michael Moore? E quanto, invece, ha pesato, la trasmissione televisiva del nuovo messaggio del principe del Terrore Bin Laden che, a pochi giorni dalla chiusura delle votazioni ci ha tenuto a precisare, sgomberando il campo da ogni possibile equivoco, che per lui non c’è sostanziale differenza tra Bush e Kerry in quanto entrambi esponenti di un sistema politico definitivamente corrotto? Al di là delle possibili risposte che si possono dare a questi due quesiti è da dire che, probabilmente se certo non è la prima volta nella Storia che la battaglia politica deve fare i conti con media quali la televisione e il cinema, sicuramente è inedita la dimensione che questo fenomeno comincia ad assumere sia nel ridisegnare lo scacchiere internazionale, sia nel nostro vissuto quotidiano. E questo prevalentemente perché è radicalmente cambiato il nostro modo di rapportarci nei confronti del mondo delle immagini e, quindi, con quella realtà che esse veicolano/demistificano. Come spettatori della nuova generazione che non si spaventano più per la visione della proiezione del filmato di un treno in corsa, viviamo ormai definitivamente compenetrati dalla logica aleatoria e impalpabile di quel gioco di colori e luci che, alla fine, è un’immagine. Ma la rapidità e la diffusione capillare delle immagini hanno aumentato incredibilmente quella dimensione di ambiguità nella quale si definisce il nostro modo di rapportarci ad esse. Come Adoni di fronte a un corso d’acqua noi desideriamo ardentemente che le immagini che ci vengano proposte siano quanto più possibile simili a noi. E quanto più il simulacro che ci viene presentato attraverso la televisione (più ancora del cinema) ci somiglia, tanto più ci appare “convincente” e “vero”. Solo così si può spiegare come mai una persona mediocre e sostanzialmente ignorante come Bush abbia potuto arrivare alla Casa Bianca: per il semplice fatto che è tanto simile al suo elettorato medio verso cui si indirizza sempre con una strizzatina d’occhio e un ammiccamento spesso gratuito. Identica la questione delle battutine di Berlusconi che passano sempre come le intemperanze di un buontempone e quanto più vengono attaccate dall’opposizione (che ci pare davvero miope da questo punto di vista) tanto più agevolano il premier nella sua politica, andando a confermare quell’immagine da buon padre di famiglia pieno di buon senso e perseguitato dai biechi comunisti che ci viene spacciata dalle televisioni. Attaccare l’immagine del premier equivale ad attaccare la “sensibilità” dei suoi elettori e quanto più l’opposizione si muove in questa direzione tanto più genera un’ondata di simpatia nei confronti dello stesso. Per questo motivo la tanto accesa polemica sul conflitto di interessi berlusconiano non ha fatto altro che spingere l’agone politico dell’opposizione verso un sostanziale falso bersaglio. Pensare che Berlusconi, in quanto possessore, ormai, della quasi totalità dei mezzi di diffusione della sua immagine in Italia, sia anche colui che controlla definitivamente la realtà (perché il binomio immagine realtà è ormai un dato di fatto per lo spettatore medio per cui una cosa è vera solo se passa in televisione) è, infatti, una verità molto parziale perché, a conti fatti, nessuno può davvero controllare e definire a proprio uso e consumo la realtà delle immagini. Cercare di controllarle è come tentare di avere la meglio sua una sorta di patto faustiano. Noi pensiamo di avere il controllo della situazione, ma in realtà è la situazione stessa a dettare le regole. L’intelligenza dei vari Bush e Berlusconi si applica, quindi, non tanto nel controllo dei mezzi d’informazione, quanto piuttosto nella loro capacità di adeguare la propria azione politica sulla lunghezza d’onda sulla realtà spettacolare e fenomenologica del processo di diffusione delle immagini. L’unico imperativo categorico delle immagini, infatti, è seguire un cieco e deterministico meccanismo auto riproduttivo. Un’immagine deve sempre generarne un’altra e se la seconda è contraddittoria rispetto alla prima tanto meglio: significa che una terza è già all’orizzonte. Accusare i leader di oscurantismo sarebbe azzardato oltre che falso perché tentare di fermare una notizia crea, di fatto, una notizia ancor più ghiotta di quella che si era cercato di occultare e crea un personaggio (quello del censore) che risulta automaticamente antipatico all’opinione pubblica. Molto meglio lasciar passare la notizia, ma metterla tra le parentesi di notizie apparentemente più grandi, più ghiotte, più spettacolari. È sulla base di questo meccanismo che si è potuta portare avanti una politica assurda, come quella della guerra preventiva. La situazione storico politica che stiamo vivendo ha, però, innegabilmente aperto una contraddizione ulteriore: ha obbligato le nostre coscienze ad un sostanziale mea culpa culturale, ci ha posti nella scomoda posizione di sostanziali spettatori degli orrori prodotti dalla nostra stessa colpevole ignoranza fin qui alacremente coltivata con ogni mezzo. Di qui, presumibilmente, la ricerca di nuove fonti di ispirazione che coincide, insieme con l’asfittica mancanza di fantasia dell’industria hollywoodiana, con il nuovo interesse che il pubblico comincia a dimostrare nei confronti di un genere sin qui negletto come il documentario. Ma si tratta davvero di un interesse genuino? Questo risveglio di consapevolezza è indice di un reale sommovimento delle coscienze o non è, piuttosto, il segno di una sete di “contro immagini” da opporre a quelle ufficiali per perpetuare un gioco spettacolare sempre più lontano dalla realtà delle cose? Se dovessimo dare conto solo della realtà italiana è da dire che il panorama è veramente poco incoraggiante. Anche perché è significativo che, proprio ora che l’utente medio sta cominciando a sentire il bisogno di confrontarsi con la propria conoscenza della storia, prende piede una riforma scolastica che, di fatto, cancella dalla programmazione intere epoche storiche. Una cosa appare certa: la società delle immagini prospera e con essa quegli individui che sanno lavorare davvero tra un battito di ciglia e l’altro.

[novembre 2004]


Enregistrer au format PDF