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Le strade del male

Pubblicato il 11 gennaio 2021 da Francesca Pistocchi
VOTO:


Le strade del male

Durante un’uggiosa e grigia domenica invernale, immersi in una piacevole inedia, può capitare di imbattersi nel film giusto: fra le pellicole con cui Netflix inaugura questo 2021, fino ad ora non troppo diverso dall’anno precedente, emerge quella di Antonio Campos, giovane regista e sceneggiatore newyorkese di origini italo-brasiliane ancora fresco dalla sua collaborazione alla serie The Sinner (2017) e di tre precedenti lungometraggi che forse varrebbe la pena di recuperare.

Le strade del male ovverosia in originale The Devil All the Time (tratto dall’omonimo romanzo di Donald Ray Pollock), ci trasporta fra gli spettri passati e recenti di un’America in gran parte rimossa dall’immaginario comune: è la storia di tre generazioni che si scambiano continuamente il posto davanti alla cinepresa, turbinando in un’angosciante danza di morte. Le vicende della famiglia Russell, che esordiscono sul fronte del Pacifico e si concludono (molto probabilmente) in Vietnam, sono quelle di un’intera Nazione – o meglio, delle ombre da essa emanate e che oltreoceano si fatica fin troppo spesso ad intravedere. Nel 1945, il marine Willard (Bill Skarsgård) rientra in Patria: e per Patria intendiamo Coal River, il classico posto dimenticato da Dio (in tutti i sensi!) a metà strada fra l’Ohio e il West Virginia. Innamoratosi di una cameriera incontrata in una tavola calda sulla strada di casa, Willard decide di sposarla e crearsi un proprio nido, rientrando così nel piccolo gregge familiare prematuramente abbandonato. Dall’unione fra i due nasce Arvin (Tom Holland): emotivo, ribelle, represso, frustrato dalla claustrofobia sociale e spirituale che lo circonda, il ragazzino possiede tutte le carte per diventare, un giorno, la fotocopia del padre – e chissà, forse per redimerne gli sbagli? Una volta persi entrambi i genitori a causa di una (inevitabile, eppure evitabile) serie di sventurati eventi, Arvin inizia la propria odissea verso la vita. L’intreccio si sposta poi sul folle predicatore Roy (Harry Melling) e la sua sfortunata moglie Helen (Mia Wasikowska), entrambi predestinati ad una sorta di insensato martirio, che li porterà a lasciare orfana la figlia Lenora (Eliza Scanlen): pochi anni dopo, le strade di Lenora e Arvin s’incroceranno, dando il via ad una nuova e sempre uguale successione di fatalità.

La trama, mai del tutto lineare, cambia in continuazione le proprie coordinate spazio-temporali, introducendoci nel girotondo mortifero di un secondo dopoguerra provinciale e oscuro, più antico e superstizioso di quanto non si immagini: la civiltà fatica a raggiungere gli anfratti di Coal River, le esistenze dei protagonisti s’incrociano con un rigore così preciso e impietoso che sembra provenire da un’altra dimensione. Una religiosità superstiziosa e delirante impregna la terra, così come l’anima di chi ci cammina sopra. Le stesse parole passano di bocca in bocca, di padre in figlio; ognuno rimastica la parabola del prossimo, deformandone gli accenti e risputandone il contenuto una volta che quest’ultimo ha ormai perso il suo sapore d’origine. Campos costruisce un limbo in cui si diverte a rinchiudere i propri personaggi, lasciandoli pascolare come chimere in un incubo e talvolta portandoli a divorarsi a vicenda. Tuttavia, i toni non sfociano tanto nella tragedia quanto nel grottesco, spezzando il legame empatico fra spettatore e mise en scène nei momenti meno opportuni, in gran parte salvandoci dalle pericolose allucinazioni a cui stiamo assistendo. A sovrastare lo sciagurato palcoscenico è infatti la voce di un narratore invisibile e onnisciente che, con l’usuale sarcasmo di chi si cela dietro le quinte, ci toglie letteralmente la sabbia dagli occhi.

Il movimento del film è circolare, così come lo sono i percorsi tracciati da Lenora, Arvin e chiunque incroci il loro cammino – nell’ordine, la coppia di serial killer Sandy (Riley Keough) e Carl (Jason Clarke), il viscido reverendo Preston (Robert Pattinson) e uno sceriffo corrotto (Sebastian Stan). Toccherà al giovane Arvin distruggere, seppur per un breve istante, l’apatia cannibale e vagamente incestuosa (tutti conoscono tutti, tutti sembrano imparentati con tutti!) che grava sulla cittadina, pagando per gli errori altrui e rimettendo in moto la ruota di questo inferno terrestre. Le tinte sulla tavolozza del regista sono talmente fosche da risultare forse un po’ troppo lugubri, ci si chiede infine se ne valga davvero la pena: fortunatamente, a salvare l’intera epopea è proprio il tono ironico e quasi favolistico utilizzato da chi, forse seduto al bancone di una tavola calda durante una domenica uggiosa, ci narra una vecchia storia.


CAST & CREDITS

The Devil All the Time - Regia: Antonio Campos; sceneggiatura: Antonio Campos, Paulo Campos; fotografia: Lol Crawley; montaggio: Sofía Subercaseaux; interpreti: Tom Holland (Arvin Russell); Bill Skarsgård (Willard Russell); Riley Keough (Sandy Henderson); Jason Clarke (Carl Henderson); Sebastian Stan (Lee Bodecker); Haley Bennett (Charlotte Russell); Harry Melling (Roy Laferty); Eliza Scanlen (Lenora Laferty); Mia Wasikowska (Helen Hatton); Robert Pattinson (reverendo Preston Teagardin); Douglas Hodge (Tater Brown); produzione: Bronx Moving Co., Nine Stories Productions; origine: USA 2020; durata: 138’.


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