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Lessons of Evil

Pubblicato il 9 novembre 2012 da Giampiero Francesca

VOTO:

Lessons of Evil

La prolificità di un autore è, spesso, inversamente proporzionale alla qualità dei suoi film. Non è un regola certa, un principio assoluto, ma l’ultima fatica di Takashi Miike, Lessons of evil, sembra confermare questo postulato. Lento e faticoso nella prima parte, insensato e ripetitivo nella seconda, il film non aggiunge nulla alla lunga carriera del regista giapponese, evidenziandone anzi molti dei suoi limiti.

Se sia solo un divertissement mal riuscito o il tentativo di realizzare un film di cassetta (pronto per un sequel) per i gusti del mercato del sol levante non è chiaro. Certo è che, in entrambi i casi, l’obiettivo di Miike non sembra affatto raggiunto. Gli ingredienti, almeno sulla carta, erano comunque quelli giusti. L’ambiente perfetto, un tipico liceo nipponico, un protagonista ideale, un professore apparentemente gentile ed elegante, e l’atmosfera sospesa di una quotidianità così tranquilla da far presumere il peggio. L’equilibrio di questi elementi però sfugge sin dall’inizio dalle mani di Takashi Miike, che, nelle prime sequenze, sembra perdersi nella premessa del suo stesso racconto. Privo di mordente l’incipit di Lessons of evil rimane imbrigliato nella proemio della pellicola, che dovrebbe, non riuscendoci, far trapelare le avvisaglie e le motivazioni della carneficina imminente. Una carneficina che esplode quasi improvvisa, stravolgendo il ritmo del film, come ennesima dimostrazione della difficoltà del regista nel maneggiare la materia grezza del racconto originale. Il gusto divertito ed eccessivo con cui Miike rappresenta la violenza, superando spesso volontariamente i limiti dell’ironia, non basta a reggere il peso di un film, che, di omicidio in omicidio, si trascina aggrovigliandosi su se stesso. Nonostante le indubbie qualità registiche, particolarmente evidenti nelle scene del massacro, il complesso dell’opera appare così di faticosa visione, sbilanciato nel ritmo e nella messa in scena.

Lessons of evil lascia intendere dunque più la volontà di costruire un giocattolo cinematografico che la rappresentazione, sotto forma di genere, del clima opprimente che grava sulle giovani (e meno giovani) generazioni nipponiche. Le maschere messe in scena da Miike infatti, pur raffigurando, in modo volutamente enfatico, i prototipi di una società schiacciata dalle sue stesse sovrastrutture, finiscono per dissolversi all’interno di un racconto troppo sovraccarico, sovrabbondante, finto. La precisione, fin troppo eccessiva, con la quale l’autore di Ichi the killer definisce i tratti dei suoi protagonisti affoga, letteralmente, in un insensato bagno di sangue, in una rappresentazione tanto divertente, quanto, però, eccessiva. Una forma che dunque predomina sulla sostanza al punto da relegarla ad elemento secondario, sullo sfondo di un massacro folle e incomprensibile.


CAST & CREDITS

(Aku no kyôten) Regia:Takashi Miike; sceneggiatura: Takashi Miike, da un romanzo di Yûsuke Kishi; fotografia: Nobuyasu Kita; montaggio: Kenji Yamashita; musiche: Kôji Endô; interpreti: Hideaki Itô (Seiji Hasumi), Fumi Nikaidô (Reika Katagiri), Kento Hayashi (Masahiko maejima); Shôta Sometani (Keisuke hayamizu), Kôdai Asaka (Yuichieo); produzione: Oriental Light and Magic, Toho Company; origine: Giappone, 2012; durata: 129’.


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